Un recente emendamento al Decreto semplificazioni presentato dal Movimento 5 Stelle ripropone il tema del possibile blocco su tutto il territorio nazionale delle esplorazioni e produzioni di idrocarburi, in particolare di gas metano. L’accelerazione e la semplificazione del PiTESAI (acronimo del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) previste nell’emendamento sopraindicato che, se approvato, si paleserà attraverso un art. 60 bis del Decreto, introdurrà elementi autorizzativi che condizionerebbero le attività, sino al loro blocco. L‘adozione del PiTESAI, introdotta dal Decreto semplificazioni 2018 (135/2018), prevedeva infatti l’identificazione di un “quadro definito di riferimento delle aree idonee allo svolgimento delle attività di  ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale”; l’iniziativa parlamentare del M5S con l’integrazione al testo del Decreto 2020 porterebbe a un’ulteriore restrizione dei perimetri delle aree in cui sarà possibile esplorare ed estrarre idrocarburi, escludendo quelle a limitata potenzialità e non rendendo disponibili le “aree residue” (superfici inesplorate a potenzialità produttiva), anche nel caso di permessi e concessioni ambientali già operative.



È una chiara manovra di contrasto, che aggrava ulteriormente la pesante condizione del comparto dell’upstream italiano (esplorazione, perforazione ed estrazione), messo già a dura prova da una serie di scelte politiche realizzate in questi ultimi due anni. A oggi, con l’allungamento a 24 mesi del periodo di moratoria sulle estrazioni di idrocarburi (decreto “blocca trivelle”, anch’esso previsto da un emendamento del M5S), le attività saranno ferme sino al febbraio 2021. I riflessi di questi provvedimenti stanno colpendo pesantemente alcune aree del Paese, in particolare quella di Ravenna, fortemente caratterizzata dal ciclo produttivo dell’Oil & Gas, ma è facile previsione ipotizzare conseguenze negative anche in altri territori come quello della Basilicata e della Sicilia sud-orientale. Pozzi chiusi e produzioni limitate sono i primi effetti di una politica non in grado di accompagnare con razionalità il periodo di transizione verso l’utilizzo pieno delle Fer (fonti energetiche rinnovabili), ipotizzato al 2050 dalla Union Strategy, dai provvedimenti nazionali, Sen 2017 e Piano Nazionale Energia e Clima 2020.



Le conseguenze per il Paese saranno gravi non soltanto sul piano occupazionale, professionale e sociale, ma anche sul piano del posizionamento geopolitico nello scacchiere euromediterraneo.

Sono migliaia i posti di lavoro a rischio, diretti e indiretti; il settore dell’upstream genera infatti un alto rapporto tra occupazione diretta, la filiera degli appalti (attività di progettazione; servizi logistici; consulenze professionali nella geologia, mineralogia, chimica dei materiali; ecc.) e l’economia locale. La qualità media dei profili professionali impegnati in queste attività è di alto profilo: sono molti gli ingegneri, i geologi, i tecnologi e altre professionalità che rischiano l’uscita dal ciclo produttivo e una difficile riconversione professionale. Il nostro Paese, e in generale l’Unione europea, non riusciranno a raggiungere gli obiettivi previsti dalle Strategie, dai Piani energetici e dall’ambizioso progetto del New Green Deal, se non sosterranno questo lungo periodo di transizione, con un utilizzo maggiore del gas naturale, idrocarburo a emissioni decisamente più basse rispetto agli altri fossili (carbone e olio). Nel nostro Paese, le attività industriali, commerciali e logistiche non saranno in grado di sostenersi sul piano della competitività, senza la continuità e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici.



L’Italia poi è fortemente condizionata dalle importazioni di gas naturale: la produzione nazionale è circa al 7% scarso e le importazioni al 93% sono di provenienza russa (42,06%), Paesi Bassi/Norvegia (15,68%), Algeria (14,39% in netto calo), Libia (8,03%), con un netto aumento di quelle garantite dai Terminali italiani di Rigassificazione (Porto Viro, Livorno, Panigaglia). Deprimere la produzione nazionale è pertanto un errore, perché comporterebbe un ulteriore aumento della dipendenza e dei costi di importazione.

Sul piano geopolitico, l’Italia poi sta perdendo definitivamente il possibile ruolo di hub sud mediterraneo del trasporto di gas naturale. Le succitate scelte politiche stanno allontanando l’interesse di fare del nostro Paese un punto di riferimento tra le produzioni della sponda meridionale e medio orientale mediterranea e i mercati europei. Il faticoso approdo del gasdotto Tap (che si è invece dimostrato assolutamente compatibile con l’ambiente salentino), il diniego d’interesse del nostro Governo nei confronti dei progetti Poseidon ed East Med (rete di gasdotti di collegamento tra gli importanti giacimenti mediorientali di Egitto, Israele, Libano e Cipro), che avrebbero come terminale il territorio di Otranto, stanno facendo perdere centralità al ruolo italiano, ruolo baricentrico che invece potrà essere assunto dalla Turchia (anche con azioni di forza) e dalla Grecia.

L’Italia lo scorso gennaio al Cairo, ha aderito insieme a Egitto, Israele, Cipro, Giordania, Grecia e Autorità Nazionale Palestinese all’East Mediterranean Gas Forum, divenuta formalmente un’organizzazione internazionale di rappresentanza nel settore del gas naturale (qualcuno l’ha definita una nuova Opec del Mediterraneo); questa positiva iniziativa rischia poi di entrare in contraddizione con una politica energetica del nostro Paese non finalizzata a essere protagonisti nel settore del gas naturale.

La via verso il pieno utilizzo delle Fer è certamente e giustamente irreversibile, la consapevolezza cresce con realismo nei settori produttivi e nelle stesse aziende del comparto energetico. Le recenti scelte del piano strategico di Eni (potenziamento degli investimenti nella ricerca e nella produzione di energie rinnovabili) ne sono l’effetto diretto; rimane ancora comunque alto l’impegno della Oil Company italiana nell’Upstream con investimenti in crescita sino al 2025; investimenti di settore praticamente quasi esclusivamente indirizzati all’estero, dove ancora si esplora e si estrae gas a partire dagli importanti giacimenti offshore del Mediterraneo mediorientale, ma anche nella sponda est dell’Adriatico.

Puntare con decisione all’obiettivo della sostituzione del mix energetico attuale non significa svuotare il sistema Paese dal necessario utilizzo del gas naturale, elemento fondamentale indicato nelle strategie internazionali per una “giusta ed equa” transizione energetica, senza la quale si metterebbe a rischio la ripresa economica e produttiva dopo la crisi generatasi con la pandemia da Covid-19.