L’aumento vertiginoso dei costi dell’energia di questi giorni ha evidenziato una delle contraddizioni più evidenti delle scelte di contrasto effettuate negli ultimi tre anni verso il possibile sviluppo delle produzioni nazionali di gas naturale. Fermo restando la strategicità delle fonti rinnovabili, le polemiche promosse negli anni scorsi dalla politica hanno inciso negativamente nel dibattito sulla questione energetica italiana, favorendo le decisioni negative dei Governi Conte 1 e 2 rispetto alla valorizzazione delle risorse di gas del Paese. Una serie di iniziative fuorvianti, a partire dal fallito referendum sulle trivelle del 2016, hanno fatto perdere all’Italia l’opportunità di divenire l’hub principale del Mediterraneo per il trasporto del gas e per le operazioni di rigassificazione.
La Cisl, di contro, ha sempre sostenuto la necessità di rendere il Paese maggiormente autonomo sul piano energetico, affermando con chiarezza, in parallelo con la necessità di investire nelle FER, il sostegno ai progetti di potenziamento dell’estrazione di idrocarburi, in particolare del gas naturale, nel territorio italiano. Anche nei momenti di maggiori tensioni sulla realizzazione del gasdotto pugliese TAP, per anni decritto strumentalmente ed erroneamente come fattore inquinante, la Confederazione ha difeso con determinazione l’ultimazione dell’infrastruttura. Proprio la messa in opera del TAP, ha permesso all’Italia di contenere la recente impennata dei prezzi; infatti, aver diversificato l’approvvigionamento nazionale di gas, importando circa 10 miliardi di metri cubi dall’Azerbaijan, ha reso il Paese meno condizionato dall’importazione del metano russo (oggi al 40% del totale) e dalle ripercussioni delle crisi geopolitiche in atto sui mercati spot del gas.
L’esperienza del TAP dovrebbe consentire la realizzazione di ulteriori vie di approdo e approvvigionamento del gas naturale da altre zone, come l’area mediorientale del Mediterraneo (Cipro, Israele, Egitto). Queste infrastrutture, debitamente adeguate, potranno poi essere utilizzate per il trasporto dell’idrogeno, quando i programmi di investimento su questo nuovo e sostenibile “carburante” ne permetteranno un utilizzo sicuro e ininterrotto.
Siamo pertanto favorevoli alla decisione del Governo di questi giorni di rilanciare e aumentare le produzioni nazionali con l’obiettivo almeno di raddoppiare i numeri del 2021, che hanno raggiunto il minimo storico con 3,3 miliardi di metri cubi su circa 76 miliardi utilizzati (da considerare che ai primi anni 2000 la produzione italiana arrivava a circa 20 miliardi). Il consumo di gas naturale sta crescendo e questo non dovrebbe preoccupare anche il movimento ambientalista; il gas permetterà comunque di abbattere le emissioni rispetto a un utilizzo intensivo di petrolio, carbone e derivati. Il metano, lo abbiamo già affermato in più occasioni, è il vettore energetico più indicato in questa fase di transizione verso il pieno utilizzo delle Fonti di Energia Rinnovabile, che sarà comunque progressivamente potenziato, viste anche le previsioni della Missione 2 del Pnrr. Il gas naturale non è un nemico da sconfiggere; potrà invece accompagnare il Paese, senza creare eccessivi rischi per il sistema produttivo e per la garanzia della continuità dei servizi.
Affinché la decisione del Governo si concretizzi a breve medio-termine (comunque gli effetti li vedremo non prima della fase iniziale del 2023), dovranno essere rimossi anche alcuni vincoli che il PITESAI (Piano della Transizione Energetica delle Aree Idonee, una sorta di piano regolatore delle concessioni) determina per lo sviluppo delle esplorazioni ed estrazioni di gas.
Il PITESAI, concepito nel periodo 2018/2019, dapprima bloccato, e infine pubblicato a inizio febbraio del 2022, si articola su alcuni principi: stabilisce dov’è possibile e dove no, effettuare ricerche e sfruttamento dei giacimenti; indica che i giacimenti oggi attivi possono continuare a operare sino a esaurimento anche in zone oggi ritenute inutilizzabili; limita gli investimenti alle produzioni di metano. Le stime degli specialisti del settore ipotizzano una potenzialità dei giacimenti nazionali di 350 miliardi di metri cubi, che abbiamo il dovere di valorizzare per consentire la stabilità e la continuità delle forniture; tutto ciò si concretizzerà se saranno autorizzate le concessioni nelle aree più ricche di risorse come il Canale di Sicilia, l’Alto Adriatico (dove la Croazia estrae a poche miglia di distanza dalle nostre coste) e in altre localizzazioni (Marche, Abruzzo e Basilicata) sia Offshore che Onshore. A oggi non è possibile lo sfruttamento in diversi spazi marini e su terraferma proprio per i vincoli precedentemente indicati; l’emergenza dettata dal rialzo dei prezzi, dovrebbe favorire decisioni meno rigide e orientate a investimenti mirati a garantire processi di maggiore stabilità occupazionale nel settore che, nel periodo di transizione verso le energie rinnovabili, subirà una graduale riconversione produttiva e professionale.
Un utilizzo mirato del gas potrà accompagnare questi processi necessari con minore pressione sociale. Una scelta giusta e obbligata, che da tempo la Cisl rivendica e che sosterrà nei prossimi mesi affinché il Paese limiti i riflessi negativi su cittadinanza, economia e sistema produttivo.
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