C’è un lato positivo in ogni cosa, recita la filosofia pratica che ispira The Economist, la saggia Bibbia del capitalismo. Perfino nella drammatica situazione del mercato dell’energia europeo alla vigilia dell’autunno che, assieme al freddo e al caro bollette, porterà probabilmente la recessione, frutto non imprevedibile dell’aggressività di Mosca.



Ma tra i molti effetti non calcolati da Vladimir Putin – dall’aver rafforzato il nazionalismo ucraino, all’aver spinto Finlandia e Svezia nella Nato – c’è anche quello di aver risvegliato la Germania, il gigante assopito dell’era di Mutti Merkel, che per una lunga stagione ha potuto godere di energia a basso costo dalla Russia e contare su un cliente, la Cina, dalle risorse infinite da soddisfare con le sue tecnologie tanto solide quanto radicate nel ventesimo secolo.



A completare il quadro ha contribuito la leadership commerciale ed economica sull’eurozona, sostenuta da una moneta comune troppo forte per i Paesi del Sud, ma troppo debole per tener conto della supremazia dell’export di Berlino, il numero uno del commercio mondiale. Un quadro perfetto, almeno all’apparenza. 

Berlino, in questi anni, ha goduto dei vantaggi garantiti dall’ombrello militare Usa, ma ha altresì sviluppato una pericolosa integrazione a Est, culminata nella realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, capitali di Gazprom, regìa politica affidata a Gerhard Schroeder, l’ex Cancelliere cui si deve l’accordo sul lavoro di inizio millennio, l’ultimo tassello della supremazia di Berlino ai vertici dell’Unione europea. Un primato economico che ha consentito ai colossi dell’auto di creare un’organizzazione del lavoro che coinvolge buona parte dell’industria italiana, ma anche i satelliti dell’Est, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, una rete di collaborazioni a basso costo per il leader d’Europa che, peraltro, ha rifiutato gli oneri legati alla sua leadership. A partire da una politica monetaria restrittiva, in pratica contrastata dal solo Mario Draghi, accompagnata in patria dall’obiettivo dell’azzeramento del debito, anche a costo di accumulare ritardi nella gestione delle infrastrutture, un errore che, di fronte ai problemi del clima e delle secche delle vie fluviali, la Germania rischia di pagare a caro prezzo nel momento più delicato: la Russia minaccia di chiudere del tutto i rubinetti del gas dopo aver moltiplicato i prezzi per dieci. 



La bolletta salata ha travolto la bilancia commerciale tedesca, peraltro vittima della frenata dell’economia cinese, così come l’ossessione per il debito ha impedito all’economia leader d’Europa di investire in maniera adeguata nell’economia digitale. L’industria dell’auto, in particolare, è a metà del guado: da una parte ci sono i giganteschi sforzi per difendere la leadership nell’elettrico, dall’altra i problemi evidenti a traghettare il modello sociale nella nuova realtà di mercato. L’aumento del gas avrebbe potuto (e potrebbe ancora) rappresentare il colpo di grazia per le ambizioni dell’economia leader d’Europa, così potente all’apparenza, ma così fragile. 

Al contrario, sostiene l’Economist, l’attuale emergenza era quel che occorreva per svegliare il gigante. Appena tre giorni dopo l’invasione, il cancelliere Olaf Scholz ha rotto con il pacifismo settantennale e ha spiegato ai tedeschi che avrebbero dovuto sostenere un riarmo costoso. Sul fronte dell’energia, il tallone d’Achille dell’economia che rischia la fermata nel giro di pochi mesi, il Paese ha peraltro reagito con l’ordine e la proverbiale efficienza: più investimenti nelle rinnovabili, ma anche riavvio delle centrali elettriche a carbone dismesse e il rinvio della chiusura di tre centrali nucleari. Intanto si acquistano i rigassificatori per sostituire il gas che non arriverà da Mosca. E si rivaluta il ruolo dell’Ue: il gas per le aziende della Ruhr arriverà dal gasdotto spagnolo attraverso la Francia oppure dai tubi che collegano l’Italia all’Algeria. 

Si profila l’occasione per un salto di qualità nei rapporti tra Berlino e l’Europa, Italia compresa. Tra gli altri segnali spicca l’atteggiamento molto più aperto nei confronti della spesa in deficit, non solo in patria ma anche a livello europeo con un occhio di riguardo alle tematiche Esg. È una grande occasione che l’Italia non può perdere. Il Governo Draghi ha fatto i compiti per bene, assicurando le forniture di gas per il prossimo inverno e mettendo le basi per l’indipendenza dal gas russo, nonostante i problemi sollevati dal rigassificatore di Piombino. Ora toccherà al nuovo Governo, qualunque esso sia, gettare le basi per un futuro che non può prescindere: 1) dai rapporti con il Nord Africa, non solo l’Algeria; 2) dallo sviluppo dei rapporti con le nuove forme di energia: pannelli solari, metano e altro; 3) un ruolo di cerniera tra il Mediterraneo, tornato protagonista, e il Nord Europa. 

Tutto questo è possibile. Così com’è possibile, anche se è improbabile, che la Germania debba piegare la testa nei confronti di Putin. Di sicuro il monarca del Cremlino ci spera, puntando anche sui suoi amici italiani, maestri, anche per imperizia, a sprecare le buone occasioni. La campagna elettorale, lastricata di promesse assurde, non lascia ben sperare. Eppure questo, come nel dopoguerra. è il momento per impegnare le risorse per garantire l’energia necessaria per crescere e per avere un ruolo internazionale. Basti vedere quel che ha approvato l’America per garantirsi futuro verde e sostenibile e, allo stesso tempo, aiutare famiglie e imprese. Si chiama Inflation Reduction Act ed è stato appena passato dal Congresso Usa. È il prodotto di un’Amministrazione di centrosinistra che promette di trovare 737 miliardi di dollari di nuove entrate e di spenderne 369 per ridurre le emissioni nocive del 40% in soli sette anni. Un esempio virtuoso che vale più di mille promesse. 

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