In pieno agosto il prezzo dei futures del gas in Europa è tornato ai livelli record di marzo, con un balzo su base annua di circa il 250%, e Gazprom ritiene che in inverno potrebbe far segnare un ulteriore +60%. Secondo Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli, l’azienda russa cerca anche di spaventare e condizionare il mercato, “ma la sua stima potrebbe non essere sbagliata, visti gli aumenti che si sono registrati in queste ultime settimane. Con tutta probabilità, quindi, avremo il gas, passeremo l’inverno al caldo come abbiamo trascorso l’estate al fresco, ma a costi elevati e con tutte le conseguenze immaginabili sull’economia reale”.



Cosa sta muovendo oggi, in pieno agosto, il prezzo del gas?

Da un lato, la speculazione. Dall’altro, le mosse e gli accordi potenziali internazionali capaci di disegnare una nuova geopolitica del gas. Basti pensare che all’inizio di agosto il ministro degli Esteri russo Lavrov si è recato in visita in diversi Stati africani per rafforzare i già ottimi rapporti esistenti, specialmente con quelli ricchi di idrocarburi.



Dobbiamo quindi essere preoccupati per gli accordi sul gas che l’Italia ha siglato proprio con alcuni Paesi africani nei mesi scorsi?

C’è il rischio che possa ripetersi qualcosa di analogo a quanto accaduto in Libia, dove le nostre imprese non sono state adeguatamente assistite dalle istituzioni italiane e abbiamo perso gli appalti per lo sviluppo di pozzi off-shore a largo di Tripoli a vantaggio di aziende russe e turche. Va anche ricordato che nel momento in cui uno Stato sovrano è economicamente più forte può mettere in atto una politica di prezzo che può far passare in secondo o in terzo piano gli accordi siglati con l’Italia. Accordi tra l’altro stipulati con Paesi con dinamiche politiche interne particolari: potrebbero esserci destabilizzazioni rapide che potrebbero portare anche all’interruzione dei flussi di idrocarburi.



Dunque stiamo sottovalutando le capacità di politica estera della Russia…

Della Russia, ma anche degli altri Paesi extraeuropei che continuano a muoversi a “ritmi normali”. Siamo noi che ci stiamo frenando. Le riporto quanto sta avvenendo nel nostro comparto, dove poco più di un mese fa c’era molto entusiasmo per gli accordi raggiunti dall’Italia, perché significano la possibilità di partecipare a delle gare per la costruzione di infrastrutture. Ora, però, ci sono aziende che si sono fermate in attesa di capire cosa accadrà a questi accordi: non vogliono comprare tutti i materiali necessari e ritrovarsi senza poi lavori da eseguire e il magazzino pieno. Le aziende italiane dell’oil & gas stanno tremando per la possibilità che gli accordi siglati possano essere messi in discussione.

Può spiegarci meglio qual è il ruolo delle aziende del vostro comparto in questi accordi internazionali riguardanti la fornitura di gas?

Prendiamo, per esempio, il caso dell’Algeria. Gli accordi sono questi: in cambio della maggior fornitura di gas, a un prezzo di mercato, non quindi prestabilito o ancorato, si chiedono investimenti per ammodernare infrastrutture obsolete o per costruirne di nuove. Ci saranno, quindi, tra le altre cose, gare algerine per l’esplorazione di nuovi giacimenti, che forse dopo tre anni renderanno possibile l’estrazione e il trasporto della materia prima. Un tempo piuttosto lungo. Nel frattempo cosa facciamo: cancelliamo la Russia dalle mappe geografiche?

In che senso?

La Russia a livello internazionale energetico ha un grosso potere contrattuale. Basti pensare che fino all’inizio di agosto aveva aumentato sia l’export di gas che di petrolio: anche se è sanzionata dall’Ue e dagli Usa, gli altri Paesi del mondo la vedono in modo completamente diverso. L’Opec+ comprende anche la Russia ed è impensabile che gli altri Paesi dell’organizzazione escludano Mosca. Se si parla di energia, la Russia sarà sempre coinvolta al 100%.

Il Governo italiano dovrebbe, quindi, presidiare in maniera continua gli accordi stipulati?

Sì, Draghi non è riuscito a far passare il price cap in Europa ed è quindi stata saggiamente trovata e percorsa la strada per stipulare tali accordi, ma in questo momento il Governo italiano come può presidiarli quando è evidenza oggettiva per chiunque che la principale preoccupazione attuale della politica riguarda i seggi in Parlamento? Del resto è successo così anche in passato: Conte ha badato alla politica interna e in Libia ci è andato forse una volta sola. Ho ricordato prima quello che poi è successo… 

Presidiare vorrebbe dire, quindi, continuare ad andare, com’è stato fatto a inizio estate, nei Paesi chiave con cui si sono siglati gli accordi?

Vuol dire che questa importante azione deve essere svolta non da parte delle aziende, Eni compresa, ma dai riferimenti istituzionali italiani. Come del resto stanno facendo quelli degli altri Paesi. L’Africa interessa a tutti, è un polo di idrocarburi importantissimo, una sorta di El Dorado. Il mercato internazionale energetico è in pieno fermento, ma noi non ci muoviamo perché abbiamo un conto aperto con la Russia. Il problema è che praticamente in quasi tutti i Paesi africani ci sono partecipazioni e investimenti russi. Le imprese oil & gas europee si trovano quindi di fronte a una domanda chiave: si può lavorare con queste aziende senza incorrere in sanzioni? Una domanda che ha poi conseguenze importanti.

Da che punto di vista?

Basta solo guardare in casa nostra alla Lukoil di Priolo, che normalmente forniva il 15% dei carburanti di tutta Italia: è bloccata, non si può fare nemmeno la manutenzione, perché si verrebbe pagati da una società russa con il rischio di trovarsi bloccati dalle sanzioni. Se allarghiamo il quadro abbiamo, come dicevo prima, diverse aziende, magari con 80-90 anni di storia, che sono ferme perché non sanno cosa fare e che in alcuni casi rischiano di chiudere, lasciando senza lavoro svariate persone.

Prima ricordava che Draghi non è riuscito a far passare la proposta di un price cap europeo al gas. Potrebbe essere quella la soluzione?

Il fatto è che il price cap non conviene a tutti: si fermerebbe la speculazione e ci perderebbero anche gli Stati europei che possono guadagnare dalla vendita della materia prima ad altri Paesi. Per questo non si trova l’accordo tra tutti i 27 membri.

Stiamo quindi più che sottovalutando il pericolo dell’inverno, pensando che basti lo stoccaggio?

Come dicevo prima, riusciremo a non restare al freddo, il problema saranno semmai le ricadute per l’economia reale di prezzi così alti. Prezzi che stanno anche rallentando lo stoccaggio già ora e che renderanno difficile mantenere le riserve sempre a un livello ottimale. Il punto è che l’Europa ha deciso di mettere le sanzioni su un comparto strategico come l’energia di cui è un forte consumatore.

Cosa si dovrebbe fare per cercare di migliorare questa difficile situazione?

Sappiamo che in Italia si possono potenziare i giacimenti esistenti, ma non si tratta di un investimento conveniente. Inoltre, continua a essere predominante la posizione Nimby che ostacola scelte strategiche sull’energia a livello nazionale. Di fronte a questo ostruzionismo, occorre cercare di affinare una strategia energetica estera per l’Italia. Noi privati possiamo anche parlare con le aziende locali, ma, come ho spiegato poc’anzi, è fondamentale la presenza delle nostre istituzioni. Al momento, però, sembra che fino al 25 settembre non si possa fare nulla su questo fronte.

(Lorenzo Torrisi)

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