Il prezzo del gas in Europa ieri è calato del 5% dopo che i flussi dalla Russia verso l’Europa sono rimbalzati. Su base giornaliera chiunque si occupi dei mercati dell’energia europei è obbligato a scandagliare le consegne di gas per capire se gli europei faranno l’inverno al freddo e quali saranno i costi delle bollette elettriche. Per le imprese, che non possono programmare, è un incubo e alcune hanno già dovuto sospendere la produzione perché i prezzi dell’elettricità, che dipendono in larga parte da quello del gas, sono diventati insostenibili. 



Il dato politico è che l’Europa è “appesa” alle decisioni della Russia con cui gli elementi di frizione sono molteplici e con cui non vuole firmare accordi di lungo periodo. È inutile parlare di status globale dell’Unione europea, di esercito europeo, di politica estera comune e di piani di rilancio industriale se l’Europa non riesce a garantirsi l’indipendenza energetica e deve dipendere, in questo modo, dalla Russia lamentandosi poi se non consegna il gas alle condizioni lunari dell’Europa. 



Estrarre gas non è facile come l’immissione di liquidità della Banca centrale europea; richiede investimenti per miliardi di euro e anni. Dopo otto anni di investimenti ridotti al lumicino perché bisogna decarbonizzare, molti Paesi europei si rifiutano di spiegare ai propri cittadini che la rigidità, giusta o sbagliata che sia, verso la Russia e la transizione verde ci consegnano uno scenario complicato; le imprese europee come minimo non sanno programmare la loro produzione e i cittadini di alcuni Paesi membri, come la Spagna, corrono a comprare fornelletti e bombole di gas per il timore di un blackout. Le reazioni di scherno della stampa “seria” sono comiche perché i poveri cittadini spagnoli in realtà hanno gli stessi timori dei più navigati investitori globali che seguono lo svolgimento del dramma leggendo Bloomberg, piuttosto che il Wall Street Journal o il Financial Times. 



Il punto è che la “transizione verde”, sempre ammesso che funzioni, non può essere la soluzione a un problema immediato. Anche il nucleare che vive un revival che non si vedeva da decenni non è una soluzione perché per fare una nuova centrale in Europa, sempre ammesso di trovare il consenso politico, serve un lasso di tempo più vicino ai 20 anni che ai 10. L’unica soluzione a breve termine, escludendo i blackout, è quella di “mettere sotto” le società petrolifere europee perché investano e trovino campi. Si potrebbe fare all’unica condizione di volerlo. L’alternativa è spiacevole.

L’energia è una questione politicamente e geopoliticamente molto sensibile. L’Europa per affrontarla unitariamente dovrebbe avere un’agenda unica in politica estera e un’uniformità nella produzione di energia. Invece ancora ieri il ministro dell’Ambiente tedesco Schulze dichiarava di non volere l’energia nucleare e, soprattutto, di non volere che l’Unione europea la supporti. La polemica si inserisce nel dibattito europeo sul ruolo dell’energia nucleare nella “tassonomia energetica”. È difficile che si possa pensare a un compromesso tra la Francia che produce tre quarti della propria energia elettrica con il nucleare e la Germania che, tra l’altro, ha appena completato il Nord Stream 2. Pensare che l’Unione europea, che non ha una politica estera comune, possa risolvere il problema energetico dei Paesi europei è peggio che illusorio; il rischio, semmai, è che si moltiplichino le fratture interne.

Sarebbe molto meglio, per l’Europa in primis, e visto lo stato di avanzamento del problema che i singoli Stati, che sono attrezzati, facessero per conto loro. Caricare l’Unione europea di una sfida che richiede tempi brevissimi è distruttivo. È già fin troppo chiaro quanto l’Europa sia diversa dagli altri principali player globali che in un modo o nell’altro hanno risolto il loro problema energetico pensandoci per tempo con le proprie risorse e le proprie alleanze. 

L’Europa invece è costretta a osservare con preoccupazione su base quotidiana le consegne russe senza alcuna visibilità di breve-medio termine mentre vaneggia di transizioni verdi che non si può permettere esattamente come non se la possono permettere Stati Uniti, Cina, Russia o India. La transizione verde gestita da Bruxelles, che dovrebbe unire l’Europa, ottiene l’effetto contrario mentre il mondo assiste a una dimostrazione di inconsistenza difficile da credere.

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