In vista dell’inverno, sembra utile fare una riflessione sullo stato di salute presente e futuro del gas naturale. Anche questo settore non è rimasto immune agli effetti della pandemia: i consumi si sono contratti in Europa e in Italia. Nel nostro Paese, nei primi nove mesi dell’anno, i consumi sono diminuiti dell’8% rispetto all’anno precedente. Sia in Italia che in Europa, i prezzi estivi sono collassati a 4-6 €/MWh, il minimo storico per molte borse, inclusa quella italiana (l’estate precedente, i prezzi erano nell’intorno dei 10 €/MWh e, verso febbraio, si attestavano verso i 12). Per l’inverno in arrivo, i prezzi a termine sembrano tornare sui livelli di inizio anno, ma restano sotto l’oscillazione estate/inverno degli ultimi anni (12-24 €/MWh), a certificare una domanda di gas debole, al netto di possibili effetti climatici.



Per il mercato del gas europeo, il mondo post-Covid è pieno di incertezze. Prezzi relativamente bassi potrebbero consentire al gas di spingere fuori mercato il carbone, sostenendo dunque la domanda di gas. Allo stesso tempo, i grandi progetti europei di sostegno all’economia puntano alla transizione energetica, di cui anche il gas sarà vittima: rinnovabili ed efficienza energetica dovrebbero consolidare il lungo declino dei consumi gas da qui al 2050. A seconda degli scenari, dopo un decennio di stagnazione dei consumi europei nell’intorno dei 500 miliardi di metri cubi, i consumi del 2050 saranno fra i 300 e 100 miliardi.



Evidentemente, le scelte dei prossimi anni determineranno l’andamento dei prossimi due decenni. In conseguenza, mai come in questi mesi, si è vista una lotta per guadagnarsi un posto al sole su tutti gli anelli della catena del valore.

Le pressioni sulla Germania per abbandonare il progetto Nord Stream 2 hanno risvolti geopolitici e di mercato: gli Usa sono alla ricerca di compratori del loro shale gas e hanno bisogno di acquirenti esteri per sostenere i prezzi in patria (attualmente troppo bassi e forieri di fallimenti a catena). I russi, allo stesso tempo, devono garantirsi il mercato europeo senza pericolosi transiti in Paesi giudicati instabili. Russi che guardano anche verso la Cina, ma che hanno un notevole numero di giacimenti che, per la loro collocazione geografica, non possono che fornire il mercato europeo.



Russia e Usa hanno come interesse comune quello di mantenere i prezzi a un livello tale da ridurre l’attrattività economica di una transizione energetica ancora più rapida. Nel Mediterraneo, invece, si gioca una partita più politica che economica: Grecia, Turchia, Libano, Cipro, Israele ed Egitto modellano alleanze e strategie per lo sviluppo di giacimenti off-shore. I progetti faraonici sono in chiara competizione fra loro, ma anche i pochi che saranno davvero sviluppati potrebbero arrivare in ritardo alla festa: il rischio di buttare via miliardi in infrastrutture inutili è sempre più alto.

La tensione militare maschera le paure di molti: l’oro blu nascosto nelle profondità del Mediterraneo potrebbe a breve non avere più alcun valore e portare molti Governi dell’area a rimpiangere di aver iniziato troppo tardi le attività di esplorazione. Anche in questo caso, la capacità dei grandi produttori, Qatar in primis, di tenere i prezzi a un livello tale da stimolare la domanda europea senza consentire profittevoli sviluppi nel Mediterraneo orientale sarà un elemento cruciale del mercato nel prossimo decennio.

Lo spettro di una rapida svalutazione degli asset e delle proprie attività, come dicevamo, porta anche una certa euforia innovativa. In particolare, gli operatori cercano delle soluzioni che possano consentire al settore di giocare più da protagonista nella transizione energetica. Ad esempio, sempre più forte si fa l’interesse per il biometano. Germania e Italia su tutti sostengono con generosi incentivi questa industria nascente che, seppur molto costosa, si presenta come una doppia soluzione sia al problema europeo della dipendenza dall’estero, sia alla necessità di adottare soluzioni rinnovabili e ambientalmente sostenibili nel settore del gas.

L’Ue spinge anche per l’idrogeno e molte società di trasporto del gas europee vi vedono una via per mantenere vivi e remunerativi i loro asset. Snam, ad esempio, sta sperimentando miscele di idrogeno e metano da trasportare nei suoi gasdotti. Di più, puntando all’elettrolisi da fonti rinnovabili, progetta un futuro combinato di solare e idrogeno, con l’Italia nuovo hub euromediterraneo della transizione energetica. Se quest’ultima parte può sembrare fin troppo ambiziosa, è chiaro che la posizione e la forza di Snam sono in grado di influenzare scelte di policy a livello italiano ed europeo.

In conclusione, i prossimi anni saranno decisivi per modellare l’evoluzione di lungo periodo del settore europeo del gas naturale: ci aspettiamo molti vinti e qualche vincitore. In un contesto così frizzante e altamente incerto, non possiamo non chiudere con gli auguri al nuovo arrivato, il gasdotto Tap, proprio rivolto a quell’Oriente Mediterraneo scosso da rivalità e ambizione.