Continua il braccio di ferro tra Bielorussia e Unione Europea sul confine polacco. Due le novità. L’Europa adotta le uniche misure ostili che le sono possibili: le sanzioni. Secondo quanto riportato dall’Ansa, colpirebbero 150 persone e una quindicina di società che fanno parte del regime di Lukashenko. Pronta la risposta del presidente bielorusso: “Risponderemo alle sanzioni. Combatteremo”.
L’altra novità è che la Polonia ha annunciato la costruzione al confine con la Bielorussia di un muro che svela ancora una volta le contraddizioni di Bruxelles (“la posizione della Commissione europea è che i fondi Ue non debbano essere usati per costruire i muri, che non vuol dire che le barriere fisiche non devono essere costruite”, ha detto il portavoce della Commissione Eric Mamer). Infine, ma non ultima, c’è la partita del gasdotto Nord Stream 2.
Secondo Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore della rivista GeoTrade, “i migranti al confine con la Polonia sono relativamente pochi e potrebbero tranquillamente essere accolti” nel contesto di un equilibrio nuovo – da trovare – sul confine orientale, all’insegna di un modus vivendi reciproco. Altrimenti “corriamo il rischio di sancire un pericoloso doppio standard europeo dove i principi che valgono per chi migra nel Mediterraneo non sono gli stessi per chi preme sulla frontiera orientale”.
L’Ue commina sanzioni alla Bielorussia per colpire uomini vicini a Lukashenko. Sarà un’operazione efficace?
Bisogna vedere chi saranno i nuovi soggetti designati. Si parla di compagnie aeree, agenzie di viaggio o altri soggetti che possono aver avuto un ruolo nel favorire la concentrazione dei migranti al confine orientale. L’efficacia delle sanzioni però è una questione complessa. Basti pensare ai quattro anni di massima pressione sanzionatoria degli Usa contro il Venezuela.
Risultati?
Politicamente nulli.
Che cosa sono le sanzioni?
Sono in primo luogo uno strumento per piegare la volontà di un altro attore internazionale. Ma raramente esse raggiungono lo scopo, perché ogni attore sovrano preferisce pagare un prezzo economico piuttosto che piegarsi. Però le sanzioni vengono adottate anche per altri motivi.
Ad esempio?
Produrre un danno economico, bloccare uno sviluppo tecnologico, chiudere un mercato. Possono anche venire adottate, più banalmente, come strumento di ritorsione non militare in un conflitto.
In altri termini?
Una volta in America si diceva che le sanzioni veniva impiegate all’interno di una crisi quando mandare Jimmy Carter come mediatore era troppo poco, ma mandare i Marines era troppo.
E nel caso specifico della Bielorussia?
Le sanzioni sono un fattore cumulativo. L’efficacia non è mai data dal singolo provvedimento, ma da come un regime sanzionatorio viene costruito o decostruito nel tempo in un gioco di interazione con l’avversario che fa le sue contromosse.
Intende dire che le condotte altalenanti e contradditorie non funzionano?
Esatto. L’Unione Europea ha varato più ondate di sanzioni contro la Bielorussia per violazioni dei diritti dell’uomo e la mancanza di standard democratici già negli anni duemila. Ma poi, nonostante i diritti dell’uomo non fossero migliorati, le ha rimosse dopo il conflitto russo-ucraino quando Minsk si è riavvicinata all’Ue nel timore della Russia. Poi la situazione è nuovamente cambiata, i rapporti con Mosca sono migliorati, mentre le elezioni dell’agosto 2020, giudicate manipolate, e la repressione delle proteste hanno di nuovo messo il Paese in rotta di collisione con l’Europa, che non vuole un dittatore ai suoi confini. Soprattutto se è amico della Russia.
A questo punto?
Nuove sanzioni sono state adottate contro funzionari ed uomini del regime ad ottobre, novembre e dicembre 2020. Ma sono state quelle della primavera 2021 dopo il dirottamento del volo Ryanair ad alzare l’asticella dello scontro. Per la prima volta sono stati messi nel mirino interessi economici importanti di Minsk, ad esempio nel settore dei fertilizzanti, di cui la Belorussia è uno dei principali produttori mondiali. Inoltre è è stato chiuso lo spazio aereo da e per l’Europa.
L’Ue cosa è convinta di ottenere e cosa otterrà nei fatti?
L’Ue è entrata nella situazione politica bielorussa ritenendo Misk non un semplice attore antidemocratico alla periferia dell’Europa ma un pericoloso strumento di destabilizzazione gestito dalla Russia, che a sua volta rappresenta una più ampia minaccia strategica per l’Unione Europea. A Bruxelles vedono dunque un nesso tra la mancanza di democrazia all’interno del Paese e la sicurezza regionale dell’Unione, ed i due livelli vengono fatti collimare, un po’ forzosamente. La cosa curiosa è che dall’altra parte vi è uno speculare interesse a sovrapporre questi due livelli.
Con quali effetti?
Così le parti alimentano involontariamente una sorta di escalation. Poi ci sono altri fattori che si sommano.
Proviamo a spacchettarli.
Bruxelles, schierandosi con le posizioni geopolitiche di baltici e polacchi, punta a sostenere questi suoi Paesi membri nel timore che, deteriorandosi la sicurezza con Minsk e Mosca, essi finiscano per dipendere troppo da Usa o Gran Bretagna. Infine c’è un ulteriore livello, che possiamo definire di sovranità democratica asimmetrica.
Cosa significa?
L’Unione Europea si ritiene in diritto di intervenire negli affari interni dei Paesi non democratici, mentre reagisce con durezza ai tentativi dei Paesi non democratici di ingerire nei suoi affari interni. Diciamo che il mix di questi motivi spinge l’Ue ad agire, ma non c’è un obiettivo concreto, una vera e propria logica strategica. C’è piuttosto uno spirito normativo identitario, un elemento esistenziale che assume caratteri geopolitici. È un dover agire indipendentemente da quanto si può raccogliere nei fatti. E le sanzioni per la loro duttilità e sofisticatezza si prestano molto a essere strumento di una politica estera psicologica.
Secondo lei dove – o quando – si fermeranno Lukashenko e Putin?
Nel gioco geopolitico non ci si ferma mai. È una ruota che gira in continuazione. Si possono fare errori, passi avanti o passi indietro, ma ogni attore internazionale punta a proseguire quello che esso crede essere il suo corso ed il corso delle cose. Non ci si può aspettare che qualcuno si fermi.
Allora che cosa bisogna fare?
Occorre costruire dei sistemi regionali che costruiscano degli incentivi a collaborare o dei disincentivi per chi minaccia la stabilità. Ma questo si può fare solo si accetta la possibilità di convivenza tra sistemi diversi. Ma dopo vent’anni di “ad hocchismo” e di lacerazioni del diritto internazionale, questi meccanismi sono saltati.
La Polonia usa gli idrogetti contro i migranti al confine e annuncia la costruzione di un muro. Come valuta quest’ultimo sviluppo?
Brutta situazione. I migranti al confine con la Polonia sono relativamente pochi e potrebbero tranquillamente essere accolti. Comprendo le ragioni strategiche, che sostanzialmente sono quelle di vedere crescere flussi incontrollabili. Ma non credo sia questo il caso, proprio perché se c’è una macchinazione politica dietro, c’è anche la soluzione al problema.
E quale sarebbe?
Non è ovviamente quella di pagare, ma quella di riconoscersi a vicenda, di ridurre a casi molto gravi le ingerenze negli affari interni e trovare un modus vivendi per il resto.
Altrimenti?
Altrimenti corriamo il rischio che l’Europa si indirizzi verso un doppio standard dove i principi che valgono per chi migra nel Mediterraneo non sono gli stessi per chi preme sulla frontiera orientale.
Le nostre difficoltà sono maggiori per via del mare, che ci sfavorisce.
Vero. Ma il fenomeno migratorio devo essere trattato sulla base di una policy comune su tutti i confini europei. Invece sembra che il Mediterraneo centrale sia la più vulnerabile delle frontiere esterne europee.
Europa e Russia sono divise dalla crisi bielorussa, ma nello stesso tempo sono legate da diversi gasdotti, uno su tutti il Nord Stream 2. Come si inserisce nella partita delle sanzioni questa discussa fornitura?
Questa è la partita grossa. Il gasdotto è completato. Complice la benevolenza del presidente Trump, è stato terminato nonostante il Congresso americano volesse bloccarlo utilizzando le sanzioni. Ora però nel contesto di deterioramento dei rapporti con la Russia e Bielorussia e con un cambio di governo a Berlino che vede il tramonto della grande coalizione sembra che stiano emergendo nuovi problemi di certificazione del gasdotto, la cui messa in funzione è temporaneamente sospesa.
No è molto difficile immaginare perché.
Probabilmente a Berlino vogliono vedere come evolve la crisi prima di dare il via libera definitiva ad un gasdotto che rappresenta un’ulteriore forma di condizionamento dell’autonomia tedesca da parte di Mosca.
È per questo che ieri c’è stata una telefonata sui generis?
Sì, la cancelliera uscente Merkel ha fatto una lunga telefonata con Lukashenko, soggetto designato dalle sanzioni europee e con con cui nessuno leader europeo parlava dal agosto 2020.
Gas, migranti, sanzioni. Una battuta finale?
Anche in Libia questo intreccio è una delle chiavi di lettura che spiega la partita, ma nel caso della frontiera orientale l’Ue dimostra un attivismo che nel Mediterraneo non si vede. Eppure in Libia, dopo 10 anni di crisi migratoria, ci siamo fermati all’accoppiata gas-migranti, ma di sanzioni per proteggerci dal ricatto migratorio neanche l’ombra. Anche in Libia ci vorrebbero sanzioni europee per i criminali che organizzano il traffico di esseri umani e per chi li tortura nei campi. C’è qualcosa che non torna.
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