Negli ultimi tre mesi il prezzo del gas europeo è salito e rimane molto oltre la media del 2022. Nello stesso arco temporale il prezzo del gas in America è sceso e rimane sui valori medi del 2022. È la rappresentazione della peculiarità della situazione europea nello scenario internazionale; la crisi energetica non è un fenomeno globale, ma è una caratteristica dell’Europa che si appresta a entrare nel vivo della stagione invernale e dei consumi per i riscaldamenti con un prezzo del gas che è dieci volte più alto della media 2018-2019 contro le due volte del mercato americano.



Tra il “per due” dell’America e il “per dieci” dell’Europa c’è un abisso; nemmeno le temperature eccezionalmente miti di fine ottobre e inizio novembre hanno potuto qualcosa contro la difficoltà europea a trovare un’alternativa minimamente conveniente alle forniture russe.



I prezzi del petrolio e dei raffinati, diesel e benzina su tutti, hanno avuto un andamento equiparabile tre le varie aree geografiche, ma questa dinamica viene messa alla prova dal tetto al prezzo del petrolio russo; negli ultimi giorni la coda delle petroliere nello stretto del Bosforo, fermate per il controllo dei documenti che attestino la provenienza dei carichi, fa temere che anche il mercato del petrolio si possa rompere e spaccare per aree geografiche con economie che riescono ad approvvigionarsi di materia prima e raffinati a un certo prezzo e l’Europa in emergenza cronica o di rincari o di razionamenti. Sarebbe la prova che la crisi energetica europea non può essere lenita da una recessione che uccida la domanda di idrocarburi e abbassi i prezzi. Nelle ultime settimane i prezzi del petrolio sono tornati ai minimi dell’anno a causa dei timori sul ciclo economico. Anche l’Europa potrebbe beneficiarne se riuscisse a rimanere agganciata ai mercati globali, ma le code all’uscita del Mar Nero non promettono niente di buono per la disponibilità di navi e per le catene di fornitura dell’Unione. I flussi di petrolio rimangono molto più semplici di quelli del gas e i differenziali di prezzo non si sono comunque ancora avvicinati a quelli del gas.



In questo scenario è indicativo dello smarrimento europeo la conferma dello stop ai motori a combustione nel 2035. Il Governo svizzero, si apprende in questi giorni, potrebbe limitare l’uso di auto elettriche per contenere i consumi di elettricità. Il Governo norvegese questa primavera ha chiesto ai possessori di auto elettriche di usare i mezzi pubblici perché i consumi delle auto insistono sulla stessa rete che alimenta metro e tram. Proprio nelle settimane in cui si rende evidente la fragilità della rete elettrica l’Europa continua in un piano che elimina un’alternativa, l’auto a combustione, che non ha bisogno di una rete e che si alimenta con una fonte che è rimasta molto più a buon mercato. Dato che spostare la produzione elettrica da gas e carbone a nucleare e rinnovabili richiede decenni il rischio che un blackout metta ko anche i trasporti deve essere considerato.

L’Europa continua a dimostrare di non aver capito quali siano le conseguenze degli eventi degli ultimi dodici mesi. La resilienza del sistema, la diversificazione delle fonti è un valore molto più prezioso oggi che nel 2020. È una questione non solo di funzionamento del sistema economico, ma anche di sovranità che viene prima di qualsiasi fantasia “green”. Mentre si contemplano blackout elettrici si impone ai cittadini di liberarsi delle auto a benzina per comprare auto elettriche. Non si comprende quale investitore possa ipotizzare una scommessa su un continente con queste politiche.

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