Il cambio del rublo contro il dollaro è tornato ai livelli precedenti alla guerra; il rublo invece è più forte ora di quanto non lo fosse a febbraio rispetto all’euro ed è ai massimi da giugno 2020. Il “meccanismo” che ha portato a questo epilogo è stato spiegato un paio di settimane fa dal nostro Primo ministro, già governatore della Bce, con l’aumento della domanda di rubli: la vendita di gas ai Paesi importatori non amici può avvenire solo in rubli e un numero crescente di Paesi oggi commercia direttamente in valuta locale, senza il dollaro, perché la Russia si vuole mettere al riparo dalle sanzioni.
La conclusione è che prima “bastavano” i dollari e oggi invece servono rubli. Rispetto a questa situazione, l’arma addizionale per l’Occidente sarebbe quella di ampliare il numero di Paesi che accettano di partecipare alle sanzioni contro Mosca anche se molte controparti finora hanno preferito assicurarsi risorse energetiche a basso prezzo; è il caso, per esempio, dell’India.
La Russia nelle fasi iniziali del conflitto si è impegnata ad acquistare oro al prezzo di 5.000 rubli al grammo. Nelle ultime settimane il prezzo offerto dalla banca centrale russa è stato abbassato prima a 4.732 e poi a 4.700. Mentre il rublo recuperava il terreno perso, la banca centrale di Mosca poteva permettersi di abbassare il prezzo offerto. Il rublo si è rafforzato anche dopo il taglio dei tassi di interesse.
Il problema della banca centrale russa, per come stanno andando le cose, non è quello di avere una valuta troppo debole, ma l’esatto opposto. Il “problema” della Russia in questo momento è quello di evitare che il rublo si rafforzi troppo e renda troppo onerose le esportazioni. Il Governo di Mosca non ha alcun interesse ad accumulare riserve in dollari o euro sia a causa delle “confische”, sia perché le sanzioni limitano gli scambi commerciali. Rispetto alla situazione precedente la guerra la domanda di rubli è comunque esplosa perché un numero crescente di Paesi, anche se l’Europa bloccasse le importazioni, oggi usa la valuta di Mosca che prima non usava.
Siamo al paradosso in cui la Russia potrebbe avere l’interesse a limitare le esportazioni di idrocarburi pur di evitare un eccessivo rafforzamento del suo cambio. I prezzi del gas e del petrolio sono un multiplo di quelli di dodici mesi fa; con volumi di vendita inferiori si ottiene lo stesso incasso. È in questo quadro che si spiega sia l’abbassamento del prezzo di acquisto dell’oro offerto dalla banca centrale russa, sia il rafforzamento del cambio nonostante il taglio dei tassi.
Il rublo si candida a essere una valuta di riserva “regionale” che ha come collaterale materie prime che sono insostituibili nel medio periodo per le economie in via di sviluppo con cui commercia. La sua economia è troppo piccola per poter essere più di questo, ma tanto basta in uno scenario di guerra fredda commerciale. Le sanzioni fanno male a tutti, e anche alla Russia, ma Mosca sembra essersi assicurata una posizione che non è solo di resistenza passiva e che è una piattaforma con cui sostituire gradualmente le importazioni europee.
L’eccessivo rafforzamento del rublo e le sanzioni che colpiscono i commerci con la Russia invece sono un problema per l’Europa perché più passa il tempo, più l’interesse di Mosca a vendere gas ai Paesi europei diminuisce. Il tempo che l’Europa si è data per sostituire le importazioni russe presuppone che la Russia nel frattempo non cambi il suo orientamento. È un assunto che potrebbe essere smentito dalla realtà.
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