Il prezzo del gas in Europa ieri è salito di oltre il 20% dopo la richiesta russa che venga pagato in rubli e non, come accade ora, in dollari o euro. Il Governo italiano, prima ancora che chiudesse il mercato, ha fatto sapere che non intende pagare in rubli e a tutti è parso quindi evidente il dilemma. Se il Governo russo impone il pagamento in rubli e quello italiano si rifiuta, l’unica conclusione possibile è l’interruzione delle forniture di gas che, nel caso italiano, sono il 40% del totale. 



Il nostro Governo, com’è ovvio, oppone che il pagamento in rubli sarebbe un modo per aggirare le sanzioni. La Russia, invece, che ha subìto sanzioni economiche senza precedenti, da un lato reagisce con una contro-sanzione, dall’altro pone un problema vero: i dollari e gli euro che Mosca incassa in un mondo in cui l’Occidente non può più esportare niente in Russia non servono a molto, soprattutto se, nel frattempo, la Russia si organizza con accordi bilaterali in valute diverse dall’euro-dollaro con Paesi che hanno miliardi di abitanti: la Cina, l’India, la Turchia e non solo. 



È chiaro che la Russia, in un mondo normale, vorrebbe continuare a incassare i pagamenti dell’Europa, ma non siamo più in un mondo “normale”. Bullard della Federal Reserve ieri ha dichiarato che “la guerra in Russia significa meno globalizzazione e più frammentazione nel globo” e ha poi aggiunto la facile previsione di una recessione in Europa in conseguenza della crisi energetica. L’Europa invia armi in Ucraina che sicuramente hanno contribuito a fare vittime nella “armata rossa” e da settimane dichiara di volersi svincolare dalla dipendenza russa il prima possibile. Allo stesso tempo spiega che ha bisogno di tempo per organizzarsi: qualche anno. Di conseguenza la Russia, in uno scenario di confronto sempre più aspro, mette l’Europa con le spalle al muro. 



Tutti i proclami che si sono sentiti da questa e dall’altra parte nelle ultime settimane hanno il tempo contato. Le questioni sono due: chi si fa più male senza il gas russo e senza i dollari e chi ha la soglia del dolore, politico e sociale, più alta.

L’Europa senza il gas russo semplicemente non ha né il gas, né l’energia elettrica per tutti. I Governi potrebbero decidere di far correre il prezzo, a livelli mai visti, e lasciare che il mercato si regoli da solo con un’ecatombe di imprese e una larga fetta di consumatori che deve auto-razionare gas e elettricità. In alternativa l’Europa deve imporre razionamenti sia sui consumatori che sulle imprese. Se le imprese hanno chiuso prima che la Russia chiudesse i rubinetti possiamo solo immaginare cosa accadrebbe dopo. Vorrebbe dire, come minimo, stravolgere lo stile di vita di milioni di cittadini e causare una recessione che non si è mai vista dalla fine della Seconda guerra mondiale. È possibile che questi scenari sembrino lunari, ma questo avviene solo per la faciloneria con cui si è affrontato il problema e, forse, per come è stato narrato.

Tutta la nostra civiltà industriale si basa sulla disponibilità di energia economica, programmabile e affidabile. Questo è il presupposto che tiene tutto il resto, come aveva compreso benissimo l’Italia uscita devastata dalla Seconda guerra mondiale. Senza l’Agip e poi l’Eni di Enrico Mattei il miracolo economico sarebbe rimasto un bel sogno. Oggi lo sviluppo industriale in qualsiasi campo, incluso l’estrazione di gas e le rinnovabili, si scontra con lo shock della rottura delle forniture globali con componenti rincarati di molte volte o, addirittura, introvabili. Qualsiasi reindustrializzazione e rimpatrio dell’industria emigrata in Cina non può avvenire senza energia.

L’Europa, quindi, dovrebbe gestire questa fase con penuria di energia e una crisi occupazionale molto severa. La stabilità dei mercati e delle valute in questo contesto sembra molto precaria. La parte difficile, purtroppo, non è prevedere l’impatto economico dello stop alle forniture russe, ma quello sociale e politico. Siamo in acque inesplorate.

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