Tra le interviste proposte da Le Iene Inside per lo speciale su Cosa nostra e la mafia siciliana c’è quella a Gaspare Mutolo, considerato tra i più importanti pentiti nella storia della battaglia contro la mafia. Le sue parole verranno riproposte oggi e saranno l’occasione per avere uno sguardo inedito sugli intrecci tra la politica e la mafia: ad esempio, quando gli è stato chiesto se ritiene che i politici siano ancora legati alla mafia, il collaboratore di giustizia spiegò che «anche se non sono punciuti hanno la mentalità più storta dei mafiosi». Noto col soprannome Asparinu, l’anziano ora coltiva la sua passione per l’arte e la pittura e, pur essendo uscito dal programma di protezione, vive ancora sotto falso nome e dispone di un domicilio segreto.



Gaspare Mutolo è stato 28 anni in carcere, mentre negli ultimi 30 ha collaborato con la giustizia. Era stato anche autista di Totò Riina, che aveva conosciuto in carcere quando ci era finito da ragazzo per alcuni piccoli furti. Il capo mafia lo fece entrare in Cosa nostra, dove fece subito “carriera”, diventando una figura operativa: si occupava del traffico di droga, ma fu coinvolto anche nell’omicidio del poliziotto Gaetano Cappiello, per il quale finì nuovamente dietro le sbarre. Decise di pentirsi e cominciò a parlare con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: ha avuto un ruolo importante per arrestare tantissimi membri di Cosa nostra e professionisti “affiliati”, ma per altri pentiti si sarebbe “intestato” omicidi che in realtà non avrebbe commesso.



LE RIVELAZIONI DI GASPARE MUTOLO

Gaspare Mutolo decise di mostrare per la prima volta il suo volto due anni fa, facendosi fotografare da James Hill del New York Times le cui immagini furono poi pubblicate dal settimanale Oggi. In quella circostanza rivelò che avrebbe dovuto rapire Silvio Berlusconi negli anni ’70: era tutto pronto, ma poi arrivò una chiamata da Palermo con l’ordine di sospendere l’operazione, poi apprese che ad Arcore pochi giorni dopo arrivò dalla Sicilia Vittorio Mangano, che era stato assunto come stalliere. Invece, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro rilasciò dichiarazioni forti, ipotizzando che il covo fosse stato ripulito prima dell’arrivo dei carabinieri in modo tale che venisse ritrovato solo il materiale che voleva venisse trovato dai carabinieri: «È stata forse ritrovate l’agenda rossa di Paolo Borsellino?», la domanda sarcastica e provocatoria del pentito.



In merito al suo pentimento e al ripudio di Cosa nostra, in un’intervista a Talk Sicilia spiegò che fu lui a contattare Falcone per dirgli che voleva collaborare con la giustizia, a patto di farlo in modo diverso. Voleva parlare solo con lui perché sapeva della genuinità della sua battaglia contro la mafia, l’alternativa era solo Borsellino. «La mafia non era più quella di prima e i mafiosi erano diventati delle bestie», raccontò Gaspare Mutolo, scioccato ad esempio dalla notizia che la mafia siciliana aveva strangolato una donna incinta.

DA UNA SENTENZA LE OMBRE SULLA SUA ATTENDIBILITÀ

A gettare qualche ombra pesante su Gaspare Mutolo è stata la testata Il Dubbio, che nel marzo scorso pubblicò una notizia riguardante le motivazioni di una sentenza importante, «sottaciuta dagli organi di stampa e non solo», da cui era emerso che il pentito era stato ritenuto inattendibile in quanto avrebbe ricevuto somme di denaro da un mafioso affinché ritrattasse su di lui per scagionarlo. Dagli atti è emerso che Gaspare Mutolo, insieme a un altro pentito, Luigi Sparacio, avrebbe consigliato a un altro collaboratore di giustizia, Rosario Spatola, di accusare un’altra persona e di lanciare accuse a un difensore dell’ex pentito Maurizio Avola.

Questo processo, che si è concluso nel gennaio 2008 ed è passato in giudicato sei anni dopo, evidenzia, come riportato dalla testata, che Gaspare Mutolo ha avuto un ruolo decisivo nel tentativo di condizionare le testimonianze dei pentiti. Gaspare Mutolo, che è stato archiviato perché ritenuto imputato nel processo maxi quater, e in virtù di ciò aveva il diritto di mentire, ha negato tutto e smentito di aver ricevuto soldi per indurre i pentiti a ritrattare, ma i giudici del tribunale di Catania nella sentenza sopracitata non gli hanno creduto, definendolo un «collaborante completamente inattendibile». Per questo Il Dubbio lo attaccò duramente: «In uno Stato di Diritto, non si possono condannare persone oltre ogni ragionevole dubbio, basandosi sulle dichiarazioni di un pentito, con evidenti coperture istituzionali, dove gravano queste ombre. In questo Paese, in barba alla lezione di Giovanni Falcone, pentiti così diventano perfino delle icone antimafia».