La supervilla di Silvio ad Antigua per rimettere a zero i conti dell’appartamento in rue Princesse Charlotte a Montecarlo: Caraibi contro Cote D’Azur.  E ancora: le minacce (vere) di Arpisella per stoppare quelle (da ridire) di Porro alla capataz  di Confindustria, lo sputtanamento di Fini per pareggiare le escort presidenziali, le pendenze del  Cavaliere e i turbamenti della Marcegaglia.



Se il vice di Feltri minaccia di richiamare i segugi da Montecarlo per mandarle ad addentare l’osso  a Mantova, il ventriloquo di  Emma fa sapere che lui i segugi ci li ha più duri e stiano accorti i berluscones. È la stampa bellezza: un pandemonio di colpi e contraccolpi, dossier e papier, inchieste e richieste da far venire il mal di testa.



Però, una cosa è chiara: fare il vicedirettore de Il Giornale o il portavoce di Confindustria non c’è una grande differenza. Perché, scherzando o meno, i due fanno e dicono le stesse cose. Scherziamo, ma mica tanto.

Il problema è serio: che succede sulle due sponde? Cos’hanno di diverso i segugi di Report ad Antigua da quelli di Feltri a Montecarlo a parte il doveroso (e simmetrico) vizietto di sfruculiare in una sola direzione? C’è una marca tra i giornali o sono tutti  off shore? C’è comunque un dettaglio che non è da poco: solo i reporter di destra se fanno certi scoop si ritrovano poi perquisiti, indagati e con i carabinieri in redazione. Intollerabile.



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Ma non saranno pure questi attacchi alla libertà di stampa  variabili dipendenti dello stesso media-system? E cioè: poco male se ci perseguitano, più lo fanno più le copie salgono. Come l’audience di certi improbabili martiri televisivi (Santoro e Fazio, tanto per dire).

Chi sa, risponda. Intanto, va detto chi ha cominciato per primo: La Repubblica, l’estate di due anni fa. Il quotidiano pubblicò in esclusiva le foto dell’ex  premier  ceco Topolanek nudo ai bordi della piscina di Villa Certosa, zeppa di  ragazze in topless in posa sotto le docce. 

Non solo: altre  foto arrivarono direttamente dai bagni di Palazzo Grazioli, scattate dal telefonino di tale (ma solo per poco) Patrizia D’Addario: professione escort ma pure candidata per il Pdl a Bari. Sia pure solo promessa e subito abbandonata. 

Fu l’inizio del gigantesco guaio per il Cavaliere e della miniera d’oro per Repubblica. Arricchita da ritrovamento di altre super pepite: la festa di Naomi, i regali alla ragazzina di Papi Silvio, l’ira e poi l’annuncio via quotidiano  di divorzio di Veronica.

Un anno dopo, la risposta cattiva della destra mediatica: l’informativa segreta su Dino Boffo, il direttore di Avvenire  “attenzionato” come noto gay dalle Questure italiane  e da Vittorio Feltri, appena traslocato, armi e bagagli da Libero (da lui fondato) al Giornale della casa berlusconiana, in deficit di copie e soldi.

 
 

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A rimetterci la penna e le penne, il bravo direttore dei vescovi, accusato di predicare male (contro Berlusconi) e di razzolare peggio (certi vizietti non troppo in linea con la dottrina dei suoi editori). Entrambe le accuse si rivelarono farlocche ma come a Repubblica anche al Giornale vennero in soccorso le veline. Quelle di carta compilate alla bisogna da qualche pia manina. 

A quel gioco di chiarissimo stampo dipietresco (“Io quello lo sfascio”) il Giornale ci tornò ben presto, con altre vittime e guest star. Da Alessandra Mussolini accusata di trescare sessualmente con un camerata di partito, a lady Veronica,  per finire, ed è l’estate appena trascorsa, con  Fini e la  famiglia dei Tulliani.

Sull’altra sponda la musica non è mai cambiata di una nota: ora e sempre Berlusconi. Da sputtanare, spettinare, sbertucciare, spennare e alla fine sparare (ci pensò tal Massimo Tartaglia con un piccolo Duomo di marmo lanciato in faccia al Cavaliere).

Vabbè, niente scandalo e moralismi alla viva il parroco. Il giornalismo è parte dello scannamento politico e non è il caso per nessuno di salire a predicare. Chi lo fa è  solo in  malafede. Ma, come avverte saggiamente Giuliano Ferrara, certi limiti non dovrebbero mai essere infranti e neppure vale sempre la regola del “costi quel che costi”.

Eccitare le tifoserie della destra “proponendo ai lettori una sequela di rappresaglie personali", appare disdicevole e meno che  mai giustificato per motivi di copie e bilancio. Lasciamo pure, è l’appello del direttore del Foglio, “al pistarolo di sinistra e ai paranoici che odiano fino alla violenza il giornalismo di destra, il privilegio di uno stile indecentemente brutale e dell’attacco selvaggio alle persone”. C’è qualcuno disposto a raccogliere l’invito?