Non solo Varese o Berghém, bastioni della resistenza leghista, sacri a Bossi più della linea del Piave. Salvata pure in blocco tutta la pattuglia dei dieci piccoli indiani che in un primo tempo il ministro Giulio Mani-di-Forbici aveva promesso di far fuori. Come nel celebre romanzo di Agatha Christie. Niente da fare. Per le Province italiane, enti inutili e fonte di enormi sprechi, il funerale è rinviato: non ci sarà l’esecuzione, tanto sbandierata e annunciata in campagna elettorale e messa a verbale sul programma del Pdl.



Nella manovra da 24 miliardi, Tremonti s’è guardato bene dal puntare le sue forbici su queste amministrazioni che servono a poco, ma consumano molto. Un po’ come i Suv. Misteri della politica. E adesso ci vorrebbe un coraggioso leghista  che ci aiuti, come dicono da quelle parti, a trovare la quadra di conti che ormai da troppo tempo non tornano più. Qualcuno della brigata del Senatur che spieghi com’è che la Lega non dice beh e nemmeno bah sulla manovra con la quale il ministro Giulio Mani di Forbice sta massacrando i bilanci di  Regioni e Comuni.



Una “macelleria locale” più che sociale: sono infatti  le finanze degli enti territoriali a venir sbriciolate dai tagli tremontiani che spazzano via quei trasferimenti  statali senza i quali il federalismo è solo un fantoccio di cartone. Come può la Lega, il partito che sul federalismo e le autonomie locali ha accumulato le sue fortune politiche, accettare ammutolito quel che sta succedendo, senza alzare la voce o agitare un fazzoletto verde? Se ne sta zitta e a cuccia, contenti per avere salvato dalla mazzata  le sue carissime Province, idrovore di denaro pubblico che ogni anno prosciugano un tesoro di 20 miliardi di euro. Per fare cose che potrebbero benissimo, in nome del federalismo,  essere affidate a Regioni e Comuni.



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Paradossi della religione leghista e dei suoi sacerdoti romani: a settembre giurano sull’ampolla padana  e a giugno tagliano le unghie al federalismo concreto, non quello immaginario evocato  alle sorgenti del Po.
Forse costoro vorrebbero un “federalismo a impatto zero”, cioè senza costi aggiuntivi per lo Stato. O si accontentano del federalismo del radicchio e del dialetto: botteghe che vendono solo prodotti e verdure locali e improbabile bandiere con scritte in lumbard. Mentre volgono il loro faccione dall’altra parte per non vedere la montagna di quattrini che costano ai cittadini contribuenti le amministrazioni più inutili d’Italia.
Certo, l’abolizione delle Province richiede un iter legislativo particolare, definito dalla Costituzione, ma la necessità dei tagli anti crisi offriva certo il momento propizio per mettere mano alla riforma.
Non si tratterebbe di abolire la dimensione amministrativa provinciale ma questa potrebbe benissimo essere considerata un’articolazione delle Regioni. Inutile e dispendioso è invece  il livello politico delle Province: i Consigli e le commissioni. Che pesano come macigni sul bilancio pubblico.

Il costo annuale dei soli compensi dell’esercito degli eletti nelle 103 Province è infatti superiore a 50 milioni di euro, a  questi vanno aggiunti i costi degli organi elettivi: edifici, personale specifico, auto “blu”, rimborsi, spese di rappresentanza che portano a oltre il doppio il costo del mantenimento dei soli organi elettivi. Poi ci sono le spese per la gestione: edifici, personale specifico, auto blu, rimborsi, spese di rappresentanza.

La somma delle sole spese correnti delle 103 Province si aggira attorno ai 10 miliardi di euro all’anno; considerando le spese in conto capitale si superano i 20 miliardi all’anno. Dall’analisi dei bilanci la fetta più consistente (tre quarti) di queste spese serve al mantenimento dell’Ente stesso. Fatto sta che in media, tra entrate tributarie, trasferimenti ed entrate extra-tributarie, ogni italiano sborsa per le Province quasi 160 euro ogni dodici mesi. Una cifra che negli ultimi cinque anni è aumentata del 15%.

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Una montagna di quattrini bruciati per avere servizi che altri enti già esistenti potrebbero benissimo fornire. Qualcuno, di recente, ha avanzato una proposta che potrebbe essere fatta propria dal governo: attribuire le funzioni di indirizzo politico ai consiglieri regionali eletti nelle circoscrizioni provinciali, abolendo  i Consigli provinciali. Si avrebbe in questo modo una netta riduzione dei costi politici senza spazzare via la dimensione amministrativa ma delegandola alle Regioni. Con il vantaggio di legare in modo efficace i Consigli regionali al territorio, conferendo loro un peso politico e rappresentativo forte e reale.

Che dite, amici del Carroccio, non vi pare d’aver perso una bella occasione per fare qualcosa di leghista?