Ci dev’essere qualcosa di straordinario, quasi di prodigioso nel reparto ginecologico degli ospedali Riuniti di Bergamo. Qualcosa che non si può soltanto spiegare con la bravura e la professionalità di medici, chirurghi e ostetriche. Perché un miracolo può sempre capitare, ma due, e nella stessa settimana, no. Perché due coincidenze, come diceva l’impareggiabile Sherlock Holmes, cominciano a essere una prova. Di che? Mah, fate un po’ voi, a noi tocca solo raccontare i fatti.
E i fatti sono che dopo la miracolosa nascita di Gaia, la piccina partorita il primo giugno da una mamma di 40 anni in coma da quattro mesi, un altro parto è accaduto agli Ospedali Riuniti sotto la stessa cifra di straordinarietà del primo.
Il 4 giugno scorso, a venire al mondo è stato un maschietto: bimbo di una madre alla 16esima settimana di gestazione con un tumore alla placenta. La donna ha coraggio da vendere: rinuncia subito a spezzare l’esile filo della vita per portare a compimento quella gravidanza impossibile, così ad alto rischio da giustificare, forse, la più drammatica e crudele delle scelte.
Certo, nessuna madre vorrebbe mai trovarsi in questa alternativa, sciogliere il dilemma con una condanna all’annientamento del minuscolo essere, invisibile come un embrione, che porta in pancia. Ma nel caso la legge è dalla sua parte: non stiamo parlando di aborto praticato solo per impossibilità economica o davanti al rischio di un pericolo imponderabile e non misurabile per l’equilibrio e la salute psichica. Termine così generico e generoso da contenere tutto e niente.
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No, sia nel caso della mamma di Gaia in coma sia in quello del piccino sbucato alla mondo ieri, la minaccia era reale, concreta, certificata e misurata. Come lo è lo stato di incoscienza di un essere umano tenuto alla vita dai cavi sottilissimi di una macchina. O lo stato clinico di una donna che vede crescere nel grembo insieme allo straordinario miracolo del concepimento, anche la sua rovina, il grumo di cellule malvagie e pazze che minaccia di trascinare entrambi alla distruzione, giù nel pozzo nero del niente. Ecco, da questo limbo di esistenze sospese sono infine arrivati a noi la bimba e il bimbo di Bergamo.
La mamma di Gaia era ricoverata nel reparto di Neurochirurgia, dov’era in terapia intensiva dalla fine gennaio, in seguito a un’improvvisa emorragia al cervello dovuta a un aneurisma. I medici della Ginecologia, guidati dal primario, il professor Luigi Frigerio, d’accordo con il marito, decidevano di non far nascere subito la bimba (non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivere) e di attendere il decorso della gravidanza. Col passare dei giorni e delle settimane, la donna non offriva segni di ripresa mentre il feto cresceva regolarmente. Alla fine della scorsa settimana, la donna partorisce Gaia: miracolo di due chili e, già dal nome, promessa di una vita gioiosa e felice.
Succede così anche al nuovo amichetto di incubatrice, il piccino venuto al mondo ieri. Potremmo chiamarlo Benedetto, perché pure la sua storia, tanto breve quanto incredibile, non può che essere segnata dall’alto, indicare il Cielo.
Come per Gaia, anche per Benedetto il papà e i medici si sono trovati di fronte allo stesso dilemma (enorme e forse insopportabile): fermare tutto, oppure lasciare l’ultima parola alla vita. Alla fine, prendono la decisione migliore: lasciano fare ai due feti, mai come in questo caso fragilissime presenze di un disegno superiore.
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La mamma di Gaia continua imperterrita a pulsare di un’energia nascosta e inarrestabile, Benedetto prosegue a crescere testardo, evitando di succhiare da quella placenta infetta il male che cerca di ucciderlo. Grazie a quei due bambini, oggi i medici, i genitori, l’intera città sorprendono il mistero della vita nella sua unità di bene e male, di dolore e stupore. Festeggiano la vittoria del cuore, un cuore più forte della morte.
Sì, ci deve essere qualcosa di miracoloso nel reparto maternità del dottor Frigerio. Agli Ospedali Riuniti di Bergamo.