Il focacciere finto yankee Ivan Puddu, il teologo in crisi di coscienza e di parcelle Vito Mancuso, l’esimio chirurgo e impareggiabile maestro di fund raising Umberto Veronesi. Ecco: ci fosse un premio del tipo “Un furbetto per l’estate” sicuramente toccherebbe a loro la palma della vittoria.
Anche per il merito di aver movimentato questa noiosissima estate senza arte né parte che minacciava di chiudersi così come si era aperta: a Montecarlo, dentro la casa, le camere da letto, i bagni, gli sgabuzzi e il garage della famiglia Tulliani. A salvarci dalla 300esima puntata della Dallas finiana sono arrivati loro: una gratuita quanto inaspettata folata di aria fresca che ha increspato le acque stantie e brodose dello stagno mediatico.
Viva i tre, simboli della solita Italia double face, che s’indigna e s’arrangia, piange e fotte, aspetta e spera. E se è il caso, non si fa problemi a fare l’autostop, a saltare i groppa agli ippopotami, come fanno le pulci d’acqua, pur di non pagare il biglietto e sgraffignare un passaggio gratis.
Dunque, entrino i furbetti. Il primo, il signor Ivan Puddu che per promuovere i suoi culurgiones al formaggio s’è cambiato i connotati, scimmiottando Mc Donald’s e facendo così imbufalire i gigante dei cheesburger. La Regione Sardegna s’è schierata con lui e contro l’arroganza della multinazionale delle carne trita sono scesi in pagina (su Repubblica) i guru di Slow Food e tutta la schiera dei radical drink e dei magna-magna biologicamente corretti.
Tranquillo, mister mamutones: con questi sponsor di razza e di tazza, al Mc Puddu’s un posto al vertice nella guida del Gambero Rosso non glielo leva proprio nessuno. Intanto si goda i frutti che la sua astutissima mossa del suffisso gli ha già procurato: tre giorni di titoli e articoli sui grandi giornali, un casino politico-gastromico e la solidarietà di tutto il bel mondo progressista e di sinistra. Risultato: il Mc Puddu’s in pochi giorni ha incassato di più che in un anno intero e i suoi tortelli di pasta sfoglia sono diventati famosi come quelli di Giovanni Rana.
Secondo furbetto: il teologo Mancuso. Con lui andiamo veloce, sappiamo già tutto ed è già stato detto e scritto tutto (che abbia pure lui una bilocale a Montecarlo?). Alla fine resterà alla Mondadori e continuerà a ritirare le royalties e a fare l’Amleto di Segrate: incassare o non incassare? La crisi? Era tutta una finta suggeritagli dal suo commercialista: gettare l’esca, intorbidare le acque (mediatiche), aspettare che qualche gonzo abboccasse. Gli è andata di lusso.
Tutta l’intellighenzia, dal comico Serra fino al Gran Maestro (ma pure lui a volte fa ridere) Scalfari, dalla coda di paglia e dai cachet d’oro, s’è fatta viva per rassicurarlo e rassicurarsi. Stare a libro paga di Mondadori-Berlusconi e moraleggiare su Repubblica? Massì che si può.
Imparate dal professor Veronesi. Il chirurgo è il paradosso fatto carne, l’insieme degli opposti, il guiness degli ossimori. È il solo Umberto di lotta e di governo, di destra e di sinistra, darwiniano e donverzeliano, militarista e pacifista, nuclearista e ambientalista, vegetariano ma convinto fans degli ogm. L’oncologo però, a differenza del teologo, non serve nessuno e non ha padroni, non risponde ad alcun gruppo o multinazionale. Perché la multinazionale c’est lui. Bravo, davvero.
Aborto, fecondazione artificiale, clonazione, eutanasia: il celebre oncologo diffonde il verbo della tecnoscienza con una crescente mole di iniziative, saggi e libri che hanno un solo scopo: portare l’acqua al suo mulino e i fondi alle sue Fondazione. Poco tempo fa, su Repubblica, ha scritto un pezzo degno del più fanatico no global e no war contro l’infamia di un governo, il nostro, che spende miliardi di euro in armi, cacciabombardieri e ordigni militari e dà solo briciole alla ricerca contro il cancro (cioè alla fondazione Veronesi).
Sarà, ma suo Ieo (Istituto europeo di oncologia) poi così male non sta dato che può contare su un capitale sociale di quasi 80 milioni di euro. Nell’azionariato dell’istituto compaiono le più belle griffe aziendali dell’uno e dell’altro schieramento. In area Polo: Mediolanum e la Popolare di Lodi. Sul versante opposto: Fiat, Telecom, Res, Pirelli e Capitalia. E poi ancora le creature di Salvatore Ligresti Fondiaria e Ras, quindi Banca Intesa, Unicredit, Assicurazioni Generali, l’Italcementi di Giampiero Pesenti, Edison, Banca Popolare di Milano, Mediobanca, oltre al colosso finanziario della ricerca farmaceutica Sorin spa. Beh, con questo arsenale di Paperoni alla spalle, facile essere pacifisti: si vince ogni guerra anche senza sparare un colpo.