Ora che finalmente lo psicodramma s’è sciolto in burletta, possiamo sottovoce confessarlo: grazie a Dio e grazie anche a Pisapia, Milano ha scampato il pericolo di avere come sindaco Stefano Boeri. Per la città, l’archistar caduta da cavallo sarebbe stata una sciagura difficilmente sostenibile, scampata per il rotto della cuffia grazie al carisma di Giuliano e alla inattesa ventata arancione che ha travolto il Pd prima ancora della Moratti.
Oggi Boeri non fa più paura a nessuno, non minaccia la stabilità della giunta e, quel che più conta, non può più essere preso sul serio neppure da colleghi e compagni. Il suo penoso pentimento dopo l’ultima ribellione farlocca e la resa incondizionata alla poltrona, lo rendono un assessore da operetta. Pisapia l’ha pubblicamente smutandato, strappandogli i galloni dell’Expo e della Moda e degradandolo con disonore davanti alla città.
Gli resta ancora la Cultura, ma pure quel ramo sembra vacillare di brutto e di certo neppure qui potrà più giocare da attaccante fantasista: lo stop all’Ambrogino al suo amico Cattelan è un chiaro avvertimento. Da tempo la misura, anche per uno buono e paziente come Pisapia, era davvero colma. Nella sua ultima birichinata, infatti, l’archistar gliel’ha combinata grossa: con un colpo solo ha stravolto il progetto (fiore all’occhiello del governo arancione) del Centro delle Culture nell’area dell’ex Ansaldo e buttato nella spazzatura il Museo di Arte contemporanea progettato da Libeskind per City Life all’ex Portello (per il quale il Comune ha già ricevuto i quattrini). Un micidiale uno-due che ha spiazzato e mandato al tappeto il sindaco, all’oscuro di tutto.
Pisapia si è trovato a fare conti con una dozzina di associazioni, enti e istituti culturali: imbufaliti e pronti a fargli la pelle se le stralunate intenzioni dell’assessore andassero in porto. Il ritiro delle deleghe era il minimo che Boeri poteva aspettarsi.
Povero assessore, bisogna capirlo: in sei mesi non glien’è andata bene una. Avrebbe dovuto essere la stella polare della nuova Milano dell’Expo eco-sostenibile e planetario, si ritrova invece confinato nel sottoscala delle decisioni annunciate e subito smentite e che, comunque non contano nulla. Con Pisapia è lotta continua, ma a lasciarci lo zampino è sempre lui. Dopo l’umiliante batosta alle primarie (Boeri è riuscito nella difficile impresa di perderle nonostante avesse dalla sua la gioiosa macchina del Pd) l’Expo è stato il suo Titanic.
Prima l’accordo di programma con i proprietari delle aree, come prevedeva il piano Moratti, poi l’ingresso del Comune nella newco, la società fortissimamente voluta dal governatore Formigoni; infine i poteri sui contenuti: il decreto del governo glieli ha sflati consegnandoli a Pisapia. Una raffica micidiale di rospi ingoiati a forza, solo per amore di giunta e di cadegra. Uno normale, dotato della dose minima del pudore, si sarebbe nascosto come un ladro nei sotterranei di Palazzo Marino o scappato a razzo verso Samarcanda. Ma lui no: ha piegato docilmente il capo e piagniucolando ha promesso a Papi Giuliano che non combinerà altri guai.
Lo lasciassero, però, giocare ancora con le grandi mostre e le belle statuine della Cultura. Sempre meglio essere assessori dimezzati che interamente cacciati. Pisapia, alla fine, s’è mosso e commosso: la primavera arancione è salva e Boeri resta, inchiodato mani e piedi, alla sua amata sedia. Ma i milanesi non devono disperare: agli uomini buoni il destino regala sempre un’altra chance.