Il compagno Gino Strada, quello che sempre più spesso sbaglia e deraglia dalla retta dottrina, deve ormai aver imparato a memoria le amare considerazioni di Bertold Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. Sugli spalti poco frequentati da giusti e galantuomini e riservati ai bastian contrari e pochi-di-buono, il chirurgo fondatore di Emergency stavolta si ritrova ancora più solo: con lui, a gridare contro la nuova guerra al dittatore di Tripoli, solo qualche stralunato di Rifondazione, i fedelissimi fraticelli di Assisi e qualche catto-rambow tutto di un pezzo seguace di padre Alex Zanotelli, quel che resta della fu gloriosa e affollata squadra arcobaleno e pacifista. Scomparsi quelli del No War “senza se e senza ma”, spariti gli intellettuali impegnati, le rock star coscienti, i vip e le vamp hollywoodiane che ai tempi di Bush tornarono a sognare l’hotel California, spente le fiaccole delle marce “peace and love”, c’è rimasto solo Gino con il cerino ancora acceso in mano.
Monsieur Sarkozy ha compiuto il miracolo, grazie anche ai giullari dell’Eliseo, gli ex nouveaux philosophes Glucksmann e Bernard Henri Lévy. A loro la mission impossibile di spacciare la “guerra umanitaria” contro il tripolino massacratore come il new deal della sinistra unita. Replay farlocco, in forma di commedia, della tragedia dei Balcani, quando, governo di sinistra regnante, il ministro della guerra Massimo d’Alema dovette inventarsi il concetto di “difesa attiva” per far diventare strumenti di pace perfino i Tornado italiani che sganciavano missili su Belgrado.
A Roma, alla protesta contro i raid della Nato guidati dai top gun francesi, Strada non ha avuto l’esercito e la claque di un tempo. Quando a fare da bersaglio c’erano l’imperialismo di Washington e i servi sciocchi di Londra e Roma.
Con Emergency solo lo sparuto drappello degli sciamannati dei centri sociali, qualche sopravvissuto rifondarolo e comunista dilibertiano e le “gheddafine”, le beduine girl, le ragazzotte che nelle visite italiane del colonnello libico venivano convocate per omaggiare il Papi della Rivoluzione Verde e inscenare finte conversioni all’islam. Antagonisti e Conigliette della Jahamaria libica uniti nella lotta e nel disperato tentativo di rompere con un paio di non convinti slogan anti Usa e anti Sarkò l’assordante silenzio della sinistra bersaniana, la più amata da Repubblica e dalla gente perbene. Quelli che, alla malora Brecth, stanno sempre dalla parte giusta e al momento giusto. Ieri contro Bush e con Saddam, oggi con Odissey dawn e contro Gheddafi.
Metamorfosi di una sinistra un tempo irriducibilmente “fuori l’Italia dalla Nato” e sempre in coro a urlare: “yankee go home”. Ora fanno il tifo per Obama, i missili umanitari e le le portaerei della pace, mentre lasciano alla destra (e ai suoi giornali) la denuncia della nuova aggressione colonialista e della guerra petrolifera all’insegna del “blood for oil”.
Leggete la ramanzina che Rossana Rossanda, dal suo buen retiro sulla Rive Gauche parigina, ha mandato via mail ai compagni riottosi del Manifesto: pare l’appello di una neocon, un Ferrara ridiventato comunista, una sorprendente maitresse-à-pénser rovesciata nel suo doppio. Scrive la Rossanda: «…Non dico che dovremmo organizzare delle Brigate Internazionali, ma mi impressiona che nessuno abbia voglia di offrire al popolo libico un aiuto. Ricordate le corse giovanili degli anni Sessantotto e Settanta a Parigi, a Lisbona, a Madrid e a Barcellona? Dall’altra parte del Mediterraneo non ha fretta di andar nessuno, salvo i tour operator impazienti che finisca presto. Almeno su a chi dare simpatie e incoraggiamento non dovremmo esitare. Non noi».
Insomma, alle armi compagni: tutti a Tripoli a dare man forte agli insorti. E che gli F16 della Nato ci proteggano. E che dire poi di Dario Fo, il Nobel dei guitti, sempre in prima linea quando c’è da dare addosso agli americani e mai pigro se ci sono da fare le barricate con i mobili degli altri? Ecco che ha dichiarato all’Unità il comico che pensa di non far ridere: «Se non c’era la Francia che partiva in quarta, c’era una strage e noi staremmo qui a piangere anche sulle nostre responsabilità». Allons enfants, e poche balle: basta dubbi sulla guerra coloniale, le mire francesi sul petrolio, le bombe e i missili che piovono indistintamente su soldati cattivi e civili innocenti. «Meglio fermi e sottoterra?», ribatte Dario- Bush, «Non credo, io sto con la Nato». Un bel progresso per chi, solo pochi anni fa, gridava nei cortei «Meglio rossi che morti».
Saddam non faceva lo stesso di quel che ora fa Gheddafi? Il rais di Baghdad gasava i curdi e sterminava gli sciti, ma allora Fo stava fermo e immobile. Di più: voleva processare come criminali di guerra Bush, Blair, Aznar e Berlusconi. Compagni che sbagliano sempre, come Gino Strada, e compagni invece che cambiano. E si fanno furbi. Come quelli del Pd che ai tempi del Golfo organizzavano corsi accelerati per sbandieratori dell’arcobaleno, marciavano contro le basi Usa in Italia, inneggiavano alla “resistenza” dei tagliagola di Saddam. O come il camaleonte Eugenio Scalfari e tutta la combriccola della “sinistra limousine”, già pacifisti e ritornati interventisti nell’istante in cui Berlusconi ha espresso qualche dubbio sul blitzkrieg francese.
Pur di dare addosso al “tiranno” di Arcore, costoro si arruolerebbero pure nella Legione straniera di Sarkozy. Perché, ci spiegano seriosi su Repubblica e l’Unità, se Silvio è soft con Gheddafi, loro sono più tosti di John Wayne nei Berretti Verdi. Voltagabbana con le stellette. Insomma, il nuovo ordine è questo: in Libia “siamo tutti marines”. Almeno fino alla prossima giravolta.