Due importanti firme del giornalismo italiano – entrambe israelite – hanno portato ieri in prima pagina una dialettica interna finora abbastanza sommersa nella comunità ebraica nazionale, riguardo alla “questione israeliana”. Un confronto che sembra assumere contorni di crinale non solo mediatico, non solo in Italia. Dove – peraltro – attorno alla crisi di Gaza si è venuto formando uno specifico dualismo politico-istituzionale fra Quirinale e Palazzo Chigi.



Paolo Mieli, in un editoriale sul Corriere della Sera, ha confermato un appoggio massimalista e intransigente al premier Netanyahu e alle sue ragioni etico-politiche a Gaza, a maggior ragione all’indomani della pre-incriminazione lanciata dalla Corte penale internazionale. L’ex direttore del Corriere è parso farsi nuovamente interprete della linea ufficiale dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). La presidente Noemi Di Segni è personalmente impegnata in questi giorni in un vero e proprio forcing comunicativo a pieno sostegno del governo israeliano.



Gad Lerner, sul Fatto Quotidiano, è parso invece dare ordine visibile ai dubbi crescenti di un’ala oggi minoritaria nella comunità ebraica, non solo italiana: una posizione in gran parte sovrapponibile all’opposizione politico-culturale attiva a Gerusalemme contro l’esecutivo Netanyahu, nonché ai settori liberal dell’ebraismo intellettuale Usa, sotto forte pressione nei campus universitari.

Lerner (che sta presentando in questi giorni il suo nuovo libro Gaza. Odio e amore per Israele) ha scelto, in modo significativo, la formula della lettera alla senatrice a vita Liliana Segre, lei pure tornata sulla scena politico-mediatica dopo un periodo di silenzio. Il punto è subito individuato nel protrarsi – pur in un quasi-silenzio mediatico – delle manifestazioni pro-palestinesi nelle università italiane. “Anch’io – scrive Lerner – provo il timore… che la memoria della Shoah si estingua in un magma di diffidenza e incredulità solo perché fra le nuove generazioni alligna il sospetto che essa venga perpetuata al fine di legittimare i crimini commessi dal governo israeliano eccedendo nei suoi diritti all’autodifesa”.



Il riferimento si fa subito diretto alla Segre, che alcune sere fa a Milano aveva rammentato “con amarezza” i suoi lunghi e fecondi anni di testimonianza in scuole e università. Oggi invece, ha lamentato la senatrice, “nella gioventù in pochi hanno studiato e vanno nelle università a gridare”, qualche volta anche contro di lei.

La chiosa di Lerner fonde rispetto affettuoso e incisività giornalistica: “Vorrei dirti, cara Liliana, che ci sarà pure un perché se ad accamparsi e a gridare anche slogan sbagliati sono gli stessi ragazzi che hanno ascoltato le tue testimonianze”. Il giornalista “comprende e condivide” il rifiuto della senatrice per l’uso “blasfemo” della parola “genocidio” a proposito delle vittime e delle distruzioni della controffensiva militare istraeliana a Gaza. Purtuttavia: “La guerra di Gaza sembra travolgere i nostri punti di riferimento, ma non credo che il senso di giustizia che scuote la gioventù dei Paesi occidentali e la disperazione dei nostri concittadini immigrati di origine araba meritino di essere liquidati come rigurgiti di antisemitismo”. Invece, “limitarsi a lanciare un anatema – ma so che non era la tua intenzione – ostacolerebbe il dialogo di reciproca comprensione”, di cui la senatrice Segre è “maestra” (e per questa ragione “l’averti nominato senatrice a vita è stato uno degli atti più significativi del presidente Mattarella”).

Sempre ieri, sul Foglio (fondato da Giuliano Ferrara, lui pure israelita) è comparso con grande risalto un attacco frontale, ancorché abbastanza a freddo, al segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin. L’oggetto era l’orientamento della Santa Sede a rinnovare le intese con la Repubblica popolare cinese sullo status della “Chiesa nazionale”: tema di periodiche polemiche – dentro e fuori la Chiesa cattolica – sui rapporti geopolitici fra Vaticano e Pechino sul terreno religioso. Ma sulle colonne di un giornale “intransigente”’a difesa di Israele e contro Hamas, è parso filtrare anche uno specifico nervosismo crescente verso Santa Sede e mondo cattolico, sicuramente quello italiano. Papa Francesco si è meritato una protesta diplomatica per un Angelus-appello per il cessate il fuoco a Gaza, mentre lo stesso Mattarella, presidente “cattodem”, è diventato osservato speciale dopo l’altolà imposto al Governo, inizialmente propenso alla repressione poliziesca dei cortei studenteschi filopalestinesi.

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