Rintanati nelle chiese per nascondersi dalla guerra: è quello che stanno facendo i cristiani di Gaza per sopravvivere mentre infiamma la guerra tra Israele e Hamas. Per centinaia di anni si sono avvicendati a Gaza imperi ed eserciti, eppure le funzioni sacre nella Chiesa di San Porfirio non si sono mai fermate. Lo stesso accade ora, mentre le forze israeliane fanno cadere le bombe e i combattimenti infuriano in strada. Con la battaglia attorno, questa casa di Dio è diventata una dimora di guerra per molti membri della comunità cristiana di Gaza che conta appena 800-1.000 persone. Stando a quanto ricostruito dal Financial Times, quasi tutte sono nascoste ora a San Porfirio e nella vicina Chiesa della Sacra Famiglia, parte dell’ultima parrocchia cattolica rimasta a Gaza City. «Queste due chiese ospitano 340 famiglie, che rappresentano quasi tutti i cristiani di Gaza», dichiara Ram Tarazi, che prima della guerra gestiva un centro culturale ortodosso, distrutto da un attacco aereo israeliano.



Come gli altri 2,3 milioni di palestinesi dell’enclave, i cristiani di Gaza vivono nella paura dei bombardamenti di Israele e dei suoi carri armati. Le famiglie che si sono rifugiate nella Chiesa di San Porfirio dormono su materassi sui pavimenti degli edifici che fungevano da uffici per i dipendenti e da residenze per i sacerdoti. I pannelli solari forniscono una piccola quantità di energia, appena sufficiente per ricaricare i telefoni, racconta il Financial Times. C’è poco cibo, non si può comprare quasi nulla nei negozi vicini e c’è una piccola quantità di carburante rimasta che viene usata con parsimonia per pompare l’acqua potabile.



“LA CASA DI DIO LA NOSTRA ULTIMA RISORSA”

Come negli ospedali, anche nelle chiese non c’è garanzia di sicurezza. Infatti, il 19 ottobre un attacco aereo israeliano ha distrutto uno degli edifici che ospitavano le famiglie del complesso di San Porfirio, uccidendo 17 persone, sepolte nei pressi della chiesa. «Siamo venuti qui in cerca di sicurezza, un’ultima risorsa nella casa di Dio…. Qui non c’è nulla di militare», afferma Ramez Soury, che ha perso i suoi tre figli, a Jazeera TV. Dieci membri della sua famiglia sono stati uccisi nell’attacco aereo. D’altra parte, anche prima della guerra, i cristiani a Gaza stavano diminuendo. «Un terzo di coloro che sono partiti si sono trasferiti a Betlemme, approfittando dei permessi israeliani per andarci a Natale [prima] di rimanere, altri sono emigrati», dichiara Mitri Raheb, un pastore luterano che è anche presidente e fondatore dell’Università Dar al-Kalima di Betlemme.



Secondo i suoi dati, nel 1997 c’erano 1.750 cristiani a Gaza, una cifra che da allora si è dimezzata. Raheb teme che Israele stia adottando una «strategia della terra bruciata» a Gaza «in modo che non possa essere più abitabile». Il problema è che molti dei cristiani sfollati hanno paura di fare il viaggio verso sud. «È troppo pericoloso. Almeno in chiesa hanno un tetto sopra la testa. Le persone hanno cercato di andarsene più di una volta, ma sono state coinvolte negli scontri e uccise», afferma Hanna Maher, ex pastore della Gaza Baptist Church, la cui moglie, Janet, è sorella di Ramy. Lei e i loro tre figli sono con la famiglia a San Porfirio.