Nella Striscia di Gaza la situazione per i civili, con l’imperversare della guerra tra Israele e Hamas ormai praticamente ininterrotta dal 7 ottobre scorso, è sempre più tragica, specialmente guardando a coloro, tra cui parecchi cristiani, che sono rimasti ‘bloccati’ nel Nord. L’area, infatti, è stata evacuata ormai da alcuni mesi, con i civili palestinesi invitati dall’autorità israeliana a spostarsi verso Sud, accampandosi attorno a Rafah.



Alcuni, però, non sono riusciti a muoversi verso Sud o, come nel caso di alcuni religiosi cristiani, non hanno voluto farlo si trovano, ora, bloccati in un’area di Gaza ancora luogo di violenti scontri tra militari e miliziani. Tra questi nell’ultimo periodo ha assunto particolare rilievo Suor Nabila Saleh, più volte voce di appelli per la sua comunità, che ora ospita circa 600 persone all’interno della Rosary Sister School. Ma tra i cristiani intrappolati a Gaza ci sono anche altri circa 300 fedeli della chiesa greco-ortodossa. Di certo che le loro condizioni sono sempre più tragiche, nonché prossime alla carestia vera e propria.



La condizione dei cristiani a Gaza, tra carestia ed epatite

A parlare della condizione dei cristiani a Gaza è, ancora una volta, suor Nabila, citata dal quotidiano Le Croix, secondo la quale “ci manca tutto. Il mercato è vuoto e non arriva nessun aiuto umanitario al Nord. Quando c’è qualcosa, è molto più caro”, come i pomodori, prima attorno all’euro al kg e ora oltre i 10. L’ultima consegna di aiuti umanitari nel Nord della Striscia è arrivata il 23 gennaio, a quasi un mese di distanza dalla precedente.

“Non abbiamo più farina”, racconta padre Youssouf Asad, vicario della parrocchia latina di cristiani, anche lui rimasto nel Nord di Gaza con i suoi fedeli. “Il cibo è stato razionato per molto tempo, e abbiamo eliminato la messa pomeridiana per risparmiare sulle ostie e sul vino”, gli fa eco padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa latina. E mentre ormai la fame sta diventando un problema con cui cristiani e civili rimasti a Gaza devono fare i conti tutti i giorni, “ci sono stati centinaia di casi di epatite, tra cui almeno tre tra i rifugiati nelle chiese”, spiega Bassim Khoury, Ad di Pharmacare.



E in questo complicato contesto particolarmente importante è la carità di alcuni cristiani ricchi che vivono in Israele e Palestina. Uno tra questi, un industriale, a Natale ha finanziato pasti caldi per tre chiese di Gaza, sia per cristiani, che anglicani e Ortodossi, servendo riso e kebab. Evento da cui è nata una sorta di maratona di aiuti tra cristiani ricchi, che fino ad ora ha permesso di distribuire 15mila pasti caldi in soli due mesi. “Ci sono molte donazioni”, spiega Khoury, “ma il problema è la mancanza di prodotti sul posto. Non c’è riso nel nord di Gaza”, avverte, e seppur “per il momento la comunità cristiana non sta morendo di fame, se non si fa nulla entro una settimana, non sarà più così”.