Via Hamas, Gaza e Cisgiordania sotto l’unica guida dell’Anp con il benestare dei Paesi arabi. L’idea del segretario di Stato americano Anthony Blinken per dare un futuro a Israele e Palestina è sul tavolo. Ne ha discusso nella sua ultima missione in Medio Oriente, probabilmente anche con Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, che ha risposto riportando il confronto alla cruda realtà di questi giorni e chiedendo, a questo proposito, il cessate il fuoco, l’invio di aiuti umanitari subito e il blocco dell’esodo palestinese.
Una proposta ragionevole, quella degli Usa, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi quali Libano, Kosovo, Somalia, Afghanistan, che ha il merito di cercare una via di uscita diplomatica, ma che non sarà così facile realizzare: le due opinioni pubbliche, quella palestinese e quella israeliana, sono, almeno in parte, radicalizzate nelle loro posizioni, anche in seguito agli ultimi eventi. E anche nel governo Netanyahu c’è chi, come il ministro Arichai Eliyahu, ipotizza addirittura un uso della bomba atomica per sistemare Gaza una volta per tutte.
I Paesi arabi, da parte loro, insieme alle altre nazioni che stanno giocando un loro ruolo nella crisi mediorientale, non sono un fronte così granitico. Il piano Usa potrebbe comunque venire incontro alle leadership di queste nazioni, che per tenere buone le loro opinioni pubbliche potrebbero rivendicare la restituzione della gestione dei territori a un referente palestinese. Intanto all’accorato appello del Papa che ha chiesto di fermare la guerra ha fatto seguito un attacco senza precedenti per circondare Gaza.
Generale, Blinken ha formulato una proposta per uscire dalla tragedia di Gaza e indicare una soluzione alla questione palestinese, mentre Abu Mazen lo ha riportato subito alla realtà chiedendo di far tacere le armi. Come giudica il piano degli Usa?
Abu Mazen, in questo momento, non gode della fiducia dei palestinesi. Se ci fossero le elezioni in Cisgiordania probabilmente Hamas avrebbe la meglio. Da parte degli Usa comunque è ragionevole cercare una soluzione di compromesso, consentendo a Israele di liberarsi di un nemico pericoloso come Hamas e al tempo stesso salvaguardando una seppur blanda sovranità palestinese: Abu Mazen è pur sempre il presidente dell’Anp. Nello stesso tempo quest’ultimo, giustamente, ha chiesto il cessate il fuoco e che si smetta di mandare via i palestinesi della Striscia dalle loro case, perché essere il presidente di una terra svuotata del suo popolo sarebbe per lui una sconfitta, un tradimento.
A questo piano manca qualcosa?
Non si fa niente per disinnescare la bomba del forte risentimento fra i palestinesi e gli arabi, che con quello che sta succedendo a Gaza è destinato ad aumentare. Ammesso e non concesso che si riesca ad eliminare Hamas, potrebbero nascere altre realtà simili, magari in altri Paesi: se i palestinesi finiscono in Egitto dobbiamo ricordarci che lì i Fratelli musulmani hanno ancora una presenza considerevole.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto che l’obiettivo è di eliminare i battaglioni di Hamas e il loro capo Yehya Al Sinwar. Puntano veramente ad ammazzarli tutti?
Credo che si stia commettendo un errore di prospettiva. Consideriamo Hamas come una organizzazione terroristica, ma è una realtà che vive in mezzo a una popolazione che sostanzialmente la approva. E poi liberarsi di Hamas cosa significa? Far fuori i capi o arrivare fino ai fiancheggiatori? Perché, se è così, bisogna far fuori molte più persone. Il problema va risolto alla radice assicurando una sovranità effettiva a questi territori.
C’è una possibilità di negoziare?
Parliamo di ostaggi ma ci sono anche 1200 prigionieri nelle carceri israeliane. È un problema che riguarda entrambe le parti. È un po’ quello che succede in Ucraina: se non c’è da entrambe le parti l’intenzione di venire incontro alle richieste degli altri l’unica soluzione diventa distruggere il nemico.
I Paesi arabi potrebbero accettare davvero un piano come quello di Blinken?
Questa soluzione potrebbe essere accettata e toglierebbe d’imbarazzo questi Paesi le cui leadership, per necessità e convenienza, sono prudenti in questa situazione. Potrebbero far digerire alle loro opinioni pubbliche questa mossa, perché al di là della sconfitta di Hamas Gaza tornerebbe a un’autorità palestinese. Se Arabia Saudita ed Egitto appoggiassero il piano, e con loro la Turchia, questa decisione avrebbe un peso.
L’eliminazione di Hamas, però, a che prezzo avverrebbe?
Per eliminare Hamas il prezzo da pagare è caro: gli “effetti collaterali” comporterebbero la morte di molti civili, quindi un prezzo troppo alto per farlo accettare alle opinioni pubbliche arabe. Le nostre no, mandano giù tutto.
Tanto più che ci sono esponenti del governo Netanyahu, come il ministro per gli Affari e il Patrimonio di Gerusalemme Eliyahu, secondo i quali la bomba atomica può essere un’opzione per Gaza.
Il ministro si è poi corretto dicendo che non era altro che una battuta, ma una frase del genere, pronunciata mentre migliaia di persone muoiono sotto le bombe è gravissima, brutale e volgare.
Ma questo significa che nel governo Netanyahu ci sono anche posizioni molto radicalizzate, non un buon segnale in vista di un’auspicabile soluzione diplomatica. Come si può uscire dalla situazione se ci sono posizioni del genere?
È un approccio che impedisce il confronto e le trattative. Non è possibile trattare se una parte si sente superiore a un’altra. Sono considerazioni da apartheid, si distingue tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, i palestinesi.
Ma alla fine il primo ostacolo alla soluzione del problema potrebbe essere proprio il governo Netanyahu con le sue posizioni?
L’opinione pubblica palestinese è in larghissima parte favorevole ad Hamas, ma anche una parte dell’opinione pubblica israeliana propende per una soluzione radicale. È vero che in Israele ci sono posizioni diverse, con gli ortodossi che sono contro la guerra, ma con i coloni che hanno posizioni estremamente radicali. Netanyahu non può apparire debole ai loro occhi. Insomma, in tutt’e due le opinioni pubbliche ci sono posizioni radicalizzate, questo rende la situazione pericolosissima.
C’è un problema di equilibri interni a Israele difficile da risolvere. Lo stesso che riscontriamo anche dalla parte dei Paesi arabi?
La Lega araba ha riammesso la Siria che è nemico giurato di Israele. Comprende il Qatar che appoggia Hamas, l’Egitto che ha firmato un trattato di pace con Israele ma che deve fare i conti con i Fratelli musulmani, i quali restano una realtà politica importante che Al Sisi deve tenere in considerazione.
A questo punto, comunque, per riuscire a invertire la rotta della guerra è necessaria una tregua?
Sarebbe una dimostrazione che si vuole fare seriamente. Prima è inutile pensare di poter dialogare. Non sono certo le quattro ore concesse da Israele per evacuare Gaza a poter cambiare qualcosa.
Anche le prospettive per gli ostaggi sembrano sempre più nere: mancano le condizioni per poter sperare nella loro liberazione?
È difficilissimo liberarli con azioni di forza perché non sono concentrati come a Entebbe, ma distribuiti in varie zone. Temo che siano dati per persi, soprattutto se le operazioni militari continuano in questa maniera.
Intanto ci sono altri episodi gravi che fanno discutere sulla brutalità di questa guerra: le azioni nei confronti dei campi profughi e gli attacchi alle ambulanze della Mezzaluna rossa. Un altro modo per aumentare la contrapposizione?
Non è lecito coinvolgere dei civili, le ambulanze non sono obiettivi legittimi. Se Hamas le usa per nascondersi si tratta di un’azione illegittima. In ogni caso, tuttavia, è illegittimo intervenire contro i mezzi di soccorso.
(Paolo Rossetti)
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