Un’ordine di evacuazione per Khan Yunis. Gli israeliani ormai vogliono bonificare tutta la Striscia di Gaza e si stanno spingendo verso Sud, avvertendo la popolazione del centro a 8 chilometri dal confine egiziano che ora le operazioni militari si sposteranno lì. Nella zona ci sono un campo profughi e un ospedale, probabile che l’Idf voglia mettere in sicurezza anche questi luoghi con tutto quello che ne consegue. Il problema è che a Khan Yunis ci sono già molti dei profughi che a migliaia si sono spostati dal Nord della Striscia proprio per evitare di trovarsi nel mezzo delle operazioni militari israeliane.
Evacuare l’area significa verosimilmente spostarsi verso l’Egitto e rendere sempre più concreta la prospettiva di un trasferimento della popolazione nella nazione vicina. Prima di arrivare al confine, tra l’altro, ci sono altre due cittadine palestinesi: se l’intervento dell’esercito, come pare inevitabile, dovesse raggiungere questi centri, le persone che dovrebbero spostarsi sarebbero ancora di più. E se l’Egitto, come pare seriamente intenzionato a fare, non lascerà passare nessuno, i palestinesi potrebbe doversi ammassare in una zona molto ristretta, con conseguenze umanitarie immaginabili. Risalire a Nord, invece, vorrebbe dire andare verso un’area disastrata, perché già colpita duramente dagli israeliani.
Da qualunque parte la si guardi, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia e politiche sociali di integrazione, per i palestinesi è una situazione drammatica. Una soluzione ci sarebbe: aprire il deserto del Negev, che è in territorio israeliano, e creare delle strutture provvisorie.
Gli israeliani stanno cominciando a far evacuare il Sud della Striscia. C’è il rischio che gli sfollati finiscano in Egitto? Con quali conseguenze?
Era evidente fin dall’inizio che se Israele voleva liberarsi di Hamas per riprendere il controllo della Striscia di Gaza non si sarebbe certo fermato al Nord. Dove debbano andare i residenti è un altro paio di maniche: non credo proprio che l’Egitto voglia aprire le frontiere a milioni o a centinaia di migliaia di persone in attesa che Israele finisca le operazioni militari.
Visto che andare a Nord non è comunque consigliabile, la gente dovrebbe spostarsi ulteriormente a Sud: ci sarà un sovraffollamento in un’area che ha già una densità abitativa da record?
Dopo Khan Yunis ci sono altre due città e anche queste non potranno rimanere al di fuori del controllo israeliano. L’unica possibilità per la popolazione sarebbe di tornare verso Gaza City che ora è sotto il totale controllo israeliano.
Ma tornerebbero in una città in cui non c’è niente; da qualunque parte si muovano si troveranno in una situazione di grande precarietà.
D’altra parte stiamo parlando di un’estensione territoriale minima, non ci vuole molto a percorrere la Striscia. E siamo in una situazione in cui nessuno dei Paesi confinanti può permettersi il lusso di aprire i confini. I precedenti insegnano che questi trasferimenti di popolazione potrebbero non rimanere temporanei ma diventare definitivi, creando problemi come quelli che si sono verificati in Libano e Giordania. Scaricare tutto sui Paesi confinanti significherebbe anche coinvolgerli nello scontro: questo sì che potrebbe allargare il conflitto.
Potrebbe succedere che i profughi palestinesi finiscano per premere sul confine per andare dall’altra parte?
È possibile, ed è il motivo per cui l’Egitto ha rafforzato la sua presenza militare sul suo lato del confine. L’Egitto si trova in una situazione poco invidiabile: da un lato l’emergenza umanitaria è evidente, dall’altro lato a lungo termine aprire le frontiere adesso avrebbe delle conseguenze nefaste.
Questa zona di confine ha sempre rappresentato un problema per Il Cairo?
C’era il problema dei tunnel, risolto in maniera drastica, smantellando intere città che si trovavano in territorio egiziano. Si tratta di cunicoli che venivano usati in generale per rifornire Gaza dei beni necessari, ma sfruttati da Hamas per far passare le armi. Dal 2013 in poi, da quando Al Sisi è al potere, l’Egitto ha fatto di tutto per bloccarli, anche allagandoli con acqua di mare e svuotando le abitazioni vicino al confine.
Hamas ha dei collegamenti con i Fratelli musulmani: un ulteriore problema per Al Sisi?
Uno dei motivi per cui sono stati chiusi i tunnel è che attraverso questi passaggi arrivava materiale che veniva utilizzato da forze jihadiste per portare l’instabilità nel Sinai. Hamas ideologicamente appartiene alla casa madre dei Fratelli musulmani, che ora sono fuorilegge in Egitto. Quando questi ultimi sono stati al potere, per un anno, gli esponenti di Hamas sono venuti in visita ufficiale nel Paese. E quando Israele attaccò Gaza all’epoca l’allora premier del Fratelli musulmani si recò a Gaza. Con l’attuale governo egiziano c’è semplicemente un rapporto da Stati confinanti per coordinare i servizi.
Quindi Il Cairo ha due motivi per non accogliere i profughi: l’impossibilità di accogliere i residenti della Striscia ma anche la necessità che Hamas non riallacci i suoi rapporti con i suoi alleati egiziani?
Il problema della presenza dei palestinesi sarebbe logistico: queste persone dovranno essere alloggiate, avere delle cure in un momento non proprio roseo per l’economia del Paese. Una volta trasferiti siamo sicuri che questo significherà la rinuncia a tornare o la rinuncia di Hamas a riconquistare la Palestina storica come affermano nello statuto? Se non abbandonassero questa intenzione potrebbero usare l’Egitto come base per attacchi contro Israele. In quel caso la reazione di Tel Aviv si farebbe sentire.
I palestinesi sfollati dove potrebbero andare allora?
C’è il deserto del Negev, una proposta che è stata avanzata nel dibattito interno a Israele. Tel Aviv aveva il controllo di Gaza fino a che Sharon non decise il ritiro, adesso si è assunta la responsabilità di gestire la Striscia, se ritiene di dare una mano potrebbe aprire corridoi sicuri verso il deserto del Negev e allestire dei campi fino a quando non finirà le operazioni.
I convogli umanitari, in questo momento, passano da Rafah o sono ancora troppo pochi?
Passano con il contagocce e parte dell’accordo che sarebbe stato raggiunto in Qatar per liberare 50 ostaggi in cambio di cinque giorni di cessate il fuoco prevede l’entrata dei camion dal confine egiziano. Prima di arrivare nella parte palestinese devono comunque passare al vaglio di un checkpoint israeliano.
Si può intuire cosa intenderà fare Israele una volta concluse le operazioni militari?
La prospettiva che gli israeliani hanno molto chiara è che Hamas deve pagare un prezzo altissimo per quello che ha fatto, perché un attacco del genere non si ripeta più. Deve servire da lezione anche ad altri attori regionali come Hezbollah o altri.
Che cosa ne sarà di Gaza non è dato sapere?
Israele ha detto che Hamas non controllerà più Gaza. Qualcuno ha detto che si vuole passare la patata bollente all’Egitto, che però non vuole sobbarcarsi una responsabilità del genere. Si parla di un’eventuale iniziativa da parte di una coalizione di Paesi arabi, ma non sono certo che vogliano fare i colonizzatori di Gaza. Rimane l’Autorità palestinese, ma dovrebbe avere mezzi e tempo per entrare.
Ci deve essere per forza un piano internazionale?
Sì. Adesso comunque la priorità è il cessate il fuoco per fermare questa escalation di morti che non va a beneficio di Israele e della sua immagine: le reazioni dell’opinione pubblica lo dimostrano.
(Paolo Rossetti)
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