Come Il Sussidiario aveva previsto il lungo incidente iniziato con i “manganelli” contro i cortei studenteschi anti-israeliani di Pisa non accenna ad esaurirsi. Tende anzi a dar vita a un confronto non episodico: soprattutto dopo il “contro-incidente” che ha visto negata la parola al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, tacciato di “sionismo” all’Università Federico II di Napoli.



La Stampa (che ha lo stesso editore di Repubblica) ha significativamente ospitato un intervento di Vladimiro Zagrebelsky, giurista e magistrato, in energica difesa della libertà di pensiero e parola garantite dalla moderna civiltà europea prima ancora che dalla Carta italiana. E il free speech, nella prospettiva di Zagrebelsky, non c’è dubbio che vada riconosciuto anche a “chi trova intollerabile ciò che avviene a Gaza e per ciò solo viene insultato come antisemita” (così come a “chi non si schiera anche militarmente a fianco dell’Ucraina e viene insultato come putiniano”). È esattamente la “democrazia reale” che ha voluto tutelare il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, richiamando il governo, responsabile della repressione dei cortei di Pisa, ma anche condannando subito l’“intolleranza” che ha colpito Molinari, a maggior ragione in un ateneo.



Fin qui, comunque, il dipanarsi di fatti e opinioni è stato rilevante ma non sorprendente. E non c’è dubbio che – da parte degli studenti napoletani – sia partito un attacco in alcun modo accettabile a un giornalista storicamente affermato come analista geopolitico, invitato a presentare il suo ultimo libro sul Mediterraneo – mare anche italiano, anche napoletano –  fra le crisi in Ucraina e in Israele.

Ciò che invece continua a colpire è l’atteggiamento – di sostanziale silenzio – della comunità israelita italiana, all’interno della più ampia comunità europea. Colpisce a maggior ragione quando nella vasta e complessa comunità israelita Usa è infine maturata una svolta importante. Chuck Schumer – senatore di New York e capo della maggioranza “dem” nella camera alta del Congresso – ha tenuto in Campidoglio un discorso di estrema durezza contro il governo guidato da Bibi Netanyahu. Schumer – al momento l’israelita insediato nella carica elettiva più alta nella democrazia istituzionale Usa – ha esplicitamente auspicato “nuove elezioni” a Gerusalemme al fine di togliere il potere a “una coalizione che dopo il 7 ottobre non è più funzionale ai bisogni dello Stato di Israele”.



L’intervento di Schumer (eletto al Congresso ininterrottamente da 43 anni) è stato lodato personalmente dal presidente Joe Biden e invece contestato – altrettanto personalmente – da Netanyahu. Quest’ultimo era già stato disturbato nei giorni precedenti allorché il generale Benny Gantz (capo del partito centrista d’opposizione “National Unity” e membro del cosiddetto “gabinetto di guerra” formato da Netanyahu dopo il 7 ottobre) era volato a Washington per incontrare alla Casa Bianca la vicepresidente Kamala Harris. Nove anni fa, invece, era stato Netanyahu a far rotta sulla capitale Usa per pronunciare un discorso al Congresso, pur non invitato dal presidente Barack Obama (Biden era allora il suo vice). L’anno dopo Donald Trump vinse le presidenziali con l’aperto appoggio del premier israeliano.

Sulla crisi di Gaza non sono mancate neppure in Italia prese di posizioni importanti. La senatrice a vita Liliana Segre – reduce da Auschwitz e testimone globale della Shoah – ha detto di “non rispondere” per l’azione del governo israeliano a Gaza e di soffrire “per tutti i bambini colpiti dalla guerra”, augurandosi che essa “finisca presto”. Più attenta al ritorno dell’antisionismo (con quasi inevitabili debordi nell’antisemitismo) è stata dal canto suo la presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, che è parsa difendere – almeno indirettamente – la guerra di Gaza polemizzando con chi vi scorge un atto di potenziale “genocidio” verso i palestinesi.

Certamente manca ancora – non solo in Italia – un “momento Schumer”: per ristabilire distanze storicamente corrette ma anche politicamente necessarie fra ciò che è avvenuto nelle baracche di Auschwitz e ciò che sta avvenendo fra quelle di Gaza. Anzitutto per impedire un’erosione pericolosa e ingiusta della Memoria della Shoah, ma anche per lasciare all’azione dei diversi governi (compreso quella italiano, domenica sul campo in Egitto con i vertici Ue) ogni possibilità di far cessare al più presto la guerra di Gaza. Senza l’incombere di pressioni implicite sul crinale (già ambiguo, su entrambe le sponde dell’Atlantico) di antisionismo e antisemitismo.

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