Da una parte, lo scontro sull’operazione di terra a Rafah e la richiesta di elaborare un piano serio per il dopoguerra a Gaza e in Palestina. Dall’altra, il silenzio di fronte al governo Netanyahu che rende demaniali 800 ettari di Cisgiordania sottraendoli ai palestinesi e una legge che blocca l’afflusso di finanziamenti all’UNRWA, l’organismo ONU pensato per sostenere gli stessi palestinesi. La politica americana in relazione alla guerra Israele-Hamas mostra tutte le sue ambiguità e, anche se il pressing nei confronti del primo ministro sembra più serrato, complessivamente non c’è la capacità di mostrare una strategia coerente che faccia intravedere una possibile uscita dal tunnel del conflitto.
Un’ambiguità, spiega Filippo Landi, già corrispondente a Gerusalemme per la Rai e poi inviato del TG1 Esteri, che dà la possibilità all’esecutivo israeliano di prendere decisioni che riducono sempre di più i territori sui quali potrebbe estendersi un eventuale Stato palestinese, esautorando di fatto quell’Autorità nazionale (l’ANP) che li dovrebbe governare ora come in futuro.
Il problema vero è che Israele non ha ancora un piano per il dopoguerra, mentre l’obiettivo della cancellazione di Hamas è involontariamente smentito dagli stessi comunicati dell’IDF, che annunciano decine di arresti di appartenenti a un’organizzazione che in teoria dovrebbe essere in via di estinzione.
Blinken ha detto a Netanyahu che Israele senza un piano per il dopo guerra a Gaza rischia di rimanere bloccato in una situazione in cui Hamas rimane al potere e nella Striscia regna l’anarchia, mentre Smotrich rende demaniali 800 ettari di Cisgiordania per altri insediamenti. Il governo israeliano ha una strategia per il futuro di Gaza e della Palestina?
La posizione dell’amministrazione Biden rispetto a Netanyahu da una parte si chiarisce e dall’altra rimane ambigua. Gli USA hanno timore che l’esercito israeliano proceda a un attacco nel Sud impantanandosi militarmente e compiendo un’ulteriore devastante strage tra i civili. Biden sembra non fidarsi dei piani di evacuazione dei civili palestinesi prima dell’attacco, anche perché l’Egitto e la Giordania non intendono prendersi neppure temporaneamente i profughi. D’altra parte, sta emergendo con chiarezza che gli aiuti basilari per la popolazione sono del tutto insufficienti. I rifornimenti arrivati via mare e paracadutati ad uso delle televisioni sono del tutto insufficienti. Blinken ha detto che vanno aumentati di molto, come avevano già dichiarato ONU e organizzazioni umanitarie.
Cosa non convince della posizione USA?
Gli Stati Uniti procedono su un terreno di grande ambiguità: hanno promosso la legge approvata dal Congresso per tagliare i soldi all’UNRWA fino al marzo 2025, cercando di affondare l’organizzazione che Israele vuole eliminare non tanto perché avrebbe aiutato Hamas, quanto perché rappresenta un baluardo del diritto palestinese ad avere un proprio Stato. Gli USA non possono cancellare un organismo delle Nazioni Unite senza il consenso della maggioranza dei Paesi membri, ma essendo storicamente il maggior finanziatore possono dare un colpo durissimo alla sua gestione. Anche se ci sono Paesi come Svezia, Canada e Arabia Saudita che hanno ripristinato o aumentato il loro contributo. Rimane, comunque, l’atto politico contraddittorio rispetto al discorso due popoli-due Stati. Poi ci pensa Smotrich a ricordare come nei fatti il governo Netanyahu proceda nella politica di esproprio dei terreni su cui dovrebbe governare un giorno il governo palestinese. È la prova che l’ANP non ha capacità di contrastare questa deriva che avviene sotto casa sua. Un enorme problema politico.
Gideon Sa’ar, ministro del governo Netanyahu e presidente del partito Nuova Speranza-La Destra Unita, ha proposto un piano che prevede la resa e l’esilio dell’ala militare di Hamas. Israele ha un piano per il dopo Gaza? È questo?
Il governo israeliano più il tempo passa e più pensa di poter occupare realmente Rafah e di spostare in una zona centrale di Gaza e in un’altra parte in Egitto la massa enorme di un milione e mezzo di rifugiati. Che poi non possano distruggere Hamas è evidente anche dai comunicati dello stesso IDF, che danno conto in modo abbastanza umoristico che l’organizzazione palestinese non è stata cancellata. Un giorno si dice che i capi sono scappati, un altro che sono state uccise 190 persone all’ospedale Al-Shifa senza capire come sia successo. Insomma: affermazioni contraddittorie sulla reale consistenza di Hamas.
Hamas potrebbe davvero essere esiliata?
L’ipotesi di Sa’ar non ha fatto grandi passi avanti soprattutto perché gli USA si sono visti bocciare una risoluzione all’ONU per il cessate il fuoco in cui si offriva in cambio il rilascio di prigionieri israeliani, lasciando però i soldati dell’IDF dentro Gaza. Una richiesta di resa che in qualche modo ha sopravanzato ipotesi di altro tipo. Un piano vero per il dopo Gaza da parte di Israele non c’è. E soprattutto, è amaro dirlo, si fanno calcoli di quanti palestinesi potrebbero morire e potrebbero essere sopportati dall’opinione pubblica internazionale. Finora ne sono morti 32mila. Qualcuno pensa che l’opinione pubblica potrebbe accettare altre migliaia di morti. Un gioco che gli strateghi militari cinicamente stanno facendo. Se non ci fosse stato l’anno delle elezioni in America, probabilmente il piano sarebbe stato già realizzato.
L’ex ambasciatore israeliano negli USA, Ron Dermer, ha detto che l’IDF entrerà a Rafah indipendentemente da un accordo con gli USA. Il rabbino della sinagoga centrale di New York, Angela Warnick Buchdahl, ha dichiarato che la sfiducia in Netanyahu e le sofferenze dei civili a Gaza rendono difficile agli ebrei americani sostenere Israele. La rottura tra Israele e USA è possibile?
Queste dichiarazioni vengono dopo la clamorosa dichiarazione del leader democratico al Senato secondo cui “Netanyahu è diventato il più grande ostacolo alla pace” e andando avanti così Israele decreterà la sua fine all’interno della comunità internazionale. Parole dette da un ebreo amico di Israele. A fronte di questo c’è l’incapacità di questo mondo americano, anche ebraico, di definire una strategia politica. Ci sono prese di posizione da parte americana che appaiono ridicole: si mettono sotto accusa tre o quattro coloni particolarmente violenti in Cisgiordania per poi assistere al sequestro di centinaia di ettari da parte del governo israeliano. Questi espropri, poi, seguono la legalizzazione periodica degli insediamenti illegali. Sono due pesi e due misure che lasciano interdetti rispetto alla capacità di individuare una linea politica. Si chiede ad Abu Mazen di allontanare il primo ministro che stava dialogando con Hamas r di sostituirlo per bloccare questa trattativa, e poi quando il governo Netanyahu annuncia questi espropri si ridicolizza agli occhi dei palestinesi l’Autorità Nazionale e lo stesso Abu Mazen.
(Paolo Rossetti)
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