Israele e USA paventano la possibilità di un ritorno alla guerra, ma intanto proseguono i negoziati per definire le condizioni della pace e il futuro di Gaza. La politica del bastone e della carota, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri, con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, serve a Trump e Netanyahu per tenere sul chi va là Hamas, per portare a casa tutti gli ostaggi, chiarendo contemporaneamente che il futuro di Gaza non potrà prevedere nessun tipo di gestione da parte dell’organizzazione palestinese. Che, anzi, secondo quanto detto dal segretario di Stato USA Marco Rubio durante la sua visita a Netanyahu, deve essere eliminata. Il piano della riviera del Medio Oriente è irrealizzabile, anche se il ministro della Difesa Katz dice che verrà aperta un’agenzia per i palestinesi che vorranno andarsene volontariamente. Più facile che il governo di Gaza venga affidato ad altri palestinesi (per Netanyahu, comunque, non l’ANP) che non siano Hamas o che rimanga sotto il controllo israeliano. Anche dai Paesi arabi non c’è da aspettarsi molto: in fin dei conti, della questione palestinese non si sono mai interessati a fondo, spingendo per una soluzione.
Cosa vogliono fare davvero Israele e USA a Gaza?
Rubio e Netanyahu mi pare che si siano espressi chiaramente. Il premier israeliano ha detto che, se non verranno liberati tutti gli ostaggi, “si apriranno le porte dell’inferno”. Rubio lo ha ascoltato e ha ribadito che l’America è la prima amica di Israele. Il piano è di far sfollare volontariamente gli abitanti della Striscia di Gaza, anche se continuo a domandarmi dove potrà mai andare questa gente, visto che non li vuole nessuno. Israele e USA stanno usando la tattica della carota e del bastone: da una parte proseguono i colloqui di pace e lo scambio degli ostaggi, dall’altra fanno capire che non scherzano, e che, se ci dovesse essere qualche intoppo, sono pronti a combattere. Se Netanyahu minaccia l’inferno, è perché ha dalla sua parte l’opinione pubblica israeliana, che è schierata con il governo, pronta ad appoggiare anche una prova di forza.
Nelle stesse ore in cui si incontravano Netanyahu e Rubio, l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, ha detto che i colloqui per la fase 2, che prevede la liberazione di tutti gli ostaggi, la trasformazione del cessate il fuoco in pace e la definizione del futuro di Gaza, andranno avanti. Gli USA promettono contemporaneamente la guerra e la pace?
Witkoff, nella trattativa, fa la parte del buono e sostiene i colloqui che si tengono al Cairo. Da una parte si procede nell’ipotesi che tutto prosegua senza intoppi, dall’altra si fa capire che potrebbe esserci un’azione di forza molto dura se Hamas non dovesse rispettare gli accordi sottoscritti. Una cosa non esclude l’altra. Nel frattempo, gli statunitensi hanno anche chiarito che Hamas non controllerà Gaza e che deve stare molto attento anche l’Iran.
L’Iran è un altro chiodo fisso: si tratta di un dossier che israeliani e americani mantengono aperto. Cosa prevede?
USA e Israele non consentiranno all’Iran di realizzare armi nucleari e non escludono un nuovo violento intervento israeliano. Non per niente, insieme a Rubio, sono arrivate anche altre armi per l’IDF. Questo periodo di tregua serve a Israele per prepararsi a eventuali nuovi combattimenti: il cessate il fuoco fa comodo a Tel Aviv per riempire di nuovo gli arsenali e far riposare il personale.
L’arrivo delle superbombe consegnate dagli USA è un deterrente per Hamas e per l’Iran? O hanno già intenzione di usarle?
Sono convinto che, se gli ostaggi non dovessero ritornare a casa, Israele userà il pugno duro, anche perché altrimenti avrebbe vanificato una guerra che dura ormai da un anno e mezzo. Gli israeliani non possono restituire centinaia di detenuti, alcuni dei quali con un curriculum terroristico di tutto rispetto, e poi dire che hanno scherzato, lasciando i rapiti in mano ad Hamas.
Anche le dichiarazioni di Trump, nelle quali ha chiesto la liberazione subito di tutti gli ostaggi, fanno sempre parte della politica della carota e del bastone?
È una battuta di Trump. Ne fa tante. A volte si rimangia le interviste o dice addirittura che è stato frainteso dalla stampa. È un uomo così, non bisogna dare molto peso a quello che dice; va dato peso, invece, a quello che fa.
Netanyahu ha dichiarato che i palestinesi dovrebbero andarsene volontariamente dalla Striscia di Gaza. Ma, siccome hanno già detto che vogliono restare, spostandosi verso i luoghi dove abitavano prima dei bombardamenti, questo significa che il piano di Trump è già fallito?
Secondo me sì, perché i palestinesi non li vuole nessuno. Dove possono andare? Non stiamo parlando di gente benestante, che ha la possibilità di muoversi: con tutto il rispetto, si tratta di persone povere e disperate, non possono andare via.
Quindi l’alternativa alla Riviera del Medio Oriente quale può essere?
L’alternativa è che Hamas finisca fuori dai giochi e che al suo posto, a Gaza, governi qualcun altro: può essere un governo di unità nazionale, con gli ex Al Fatah, oppure una gestione che faccia capo a Israele attraverso un esecutivo fantoccio. È ancora presto per dire cosa succederà. Di una cosa sono certo, tuttavia: non sarà Hamas a gestire il futuro della Striscia.
Neanche una Hamas che rinuncia alle armi?
Hamas non rinuncerà mai alle armi, sono terroristi che alzano sempre l’asticella: non li vedo togliersi la mimetica per mettere giacca e cravatta.
Nel suo primo tour diplomatico in Medio Oriente, Rubio incontra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Riusciremo finalmente a sapere se c’è un piano arabo per Gaza alternativo a quello americano?
Gli americani spingono moltissimo affinché gli arabi siano coinvolti, ma a questi ultimi non interessa molto la Palestina, non si sono mai esposti più di tanto. Tergiversano.
Loro stessi hanno promesso un piano alternativo alla riviera del Medio Oriente. Ci sono state delle prese di posizione della Lega Araba contro il piano Trump. Come vanno interpretate?
Si tratta di dichiarazioni alle quali non darei grande peso. Ne hanno fatte altre, ma poi nei fatti non è successo granché. Dagli incontri di Rubio, per questo, non mi aspetto niente, credo che anche lui non si attenda chissà che.
Gli americani, però, vogliono far pagare ai Paesi del Golfo la ricostruzione di Gaza: gli arabi potrebbero essere protagonisti del rilancio della Striscia?
Questo sarà un altro tavolo da gioco incandescente quando se ne parlerà, ma è ancora presto. Non credo, comunque, che gli arabi proporranno di gestire loro la Striscia, garantendo per Israele. Che ci guadagnerebbero? Perché dovrebbero accollarsi la gestione di una situazione tanto complicata? Gaza, in questo senso, viene vista come una polveriera. Se fossi nei sauditi, direi di no.
Allora cosa succederà?
La soluzione sarà un governo interno dei palestinesi, magari facendo riferimento ad Abu Mazen e ai suoi, non certo ad Hamas.
Comunque la prospettiva che si torni a fare la guerra è ancora reale?
Non è da scartare, perché, anche se spero di sbagliarmi, di ostaggi ho paura che ne siano rimasti pochi, non so quanti potranno tornare a casa. Mi auguro che non sia così, ma cerco di essere realista.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.