A Netanyahu “scappa” un tweet e Gantz lo stoppa. Nel governo israeliano riemergono divergenze che, in realtà, non sono per nulla nuove, anche se adesso, al di là dell’incidente social, l’immagine che si vuole dare è quella dell’unità e della determinazione a neutralizzare Hamas. Quanto alle riflessioni del premier, che nel messaggio pubblicato e subito eliminato aveva accusato esercito e servizi di non averlo avvisato sul pericolo di un attacco imminente, ci sarà tempo di analizzarle a guerra finita. Solo allora si vedrà se, al momento di individuare le responsabilità e di recarsi alle urne per confermare Netanyahu, come sembrerebbero orientati a fare stando ai sondaggi, gli israeliani preferiranno rimanere fedeli all’attuale capo di governo o cambiare amministrazione.



Intanto il piano di Israele, spiega Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, fondatore dell’Igsda e membro del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation, prevede la neutralizzazione di Hamas nella zona Nord di Gaza, quella dove la presenza dell’organizzazione terroristica risulterebbe più radicata e dove ha realizzato una rete di cunicoli molto ramificata, utilizzata per celare attività e strutture militari. L’obiettivo immediato non sarebbe quello di spingere i palestinesi fuori dalla Striscia, ma di impedire definitivamente ad Hamas di agire, con la certezza di un nuovo, immediato intervento nel caso in cui si dovesse ricreare un pericolo per Israele.



Generale, come si può spiegare il botta e risposta Netanyahu-Gantz: è la cartina al tornasole dei dissidi che ci sono nel governo anche sull’azione di terra a Gaza?

Ci sono dissidi che risalgono a prima dell’attacco terroristico e che ora hanno dei riflessi nel dibattito riguardante le responsabilità di quanto è successo. Tutti, compreso Netanyahu, hanno detto che questo non è il momento di capire di chi sono state le colpe ma di risolvere il problema. Se il premier ha fatto subito retromarcia è perché non bisogna assolutamente incidere sul morale di chi, in uniforme, è costretto dagli eventi a combattere contro i terroristi.



Quel messaggio contrasta con quello che lo stesso Netanyahu ha detto in tv alla nazione, quando ha invitato all’unità e ha assicurato la “vittoria del bene sul male”. Come mai questo cambio di registro?

Certo, sono dichiarazioni che contrastano tra loro, ma anche se ci sono delle incomprensioni riguardanti la situazione politica precedente, caratterizzata negli ultimi anni da una costante difficoltà nella formazione dei governi, quello che non cambia è l’obiettivo finale: neutralizzare Hamas. Al momento c’è chi cerca, a mio parere facendo una valutazione erronea e faziosa, di far passare la vittima per carnefice. L’unità d’intenti a Tel Aviv è assolutamente necessaria.

Netanyahu, anche se poi si è “rimangiato” quello che ha scritto, ha cercato di allontanare da sé le responsabilità dell’attacco del 7 ottobre. Ha paura di venire messo da parte? Magari anche a breve?

In questo momento non viene allontanato nessuno. Ci dovrà essere un redde rationem alla fine del conflitto e il premier cerca di rimarcare le sue posizioni in merito al mancato allarme terroristico. Ma non vuole deviare dalla linea dell’unità. Il messaggio cancellato riguardava, più che altro, quello che sarà il futuro post bellico nello Stato ebraico.

Per quanto riguarda l’azione di terra, comunque, qual è il vero obiettivo di Israele?

Gli israeliani vogliono evitare che nel Nord della Striscia si ripeta quello che si era realizzato da parte dei terroristi e quanto è successo nel corso dell’attacco: stanno dividendo in settori quella parte della Striscia di Gaza e lì stanno cercando di eliminare Hamas, costi quel che costi e duri quel che duri.

Questo intervento nella parte settentrionale, però, spinge la popolazione a spostarsi verso Sud. Israele alla fine pensa di espellere i palestinesi dalla Striscia?

A mio parere non c’è intenzione di svuotare Gaza e neanche di prenderne il controllo, ma solo di eliminare quanto più possibile i terroristi di Hamas e distruggere in maniera definitiva i tunnel e il loro sistema offensivo, comprese le armi e le strutture che sono state utilizzate come rampe di lancio per i razzi contro Israele. Si vuole mettere la parola fine ad Hamas, se non per sempre, per un lungo periodo di tempo, ma anche liberare il maggior numero di ostaggi. Israele non pensa di occupare Gaza definitivamente perché se così fosse dovrebbe, poi, preoccuparsi di gestirla, con enorme dispendio di forze.

Dopo che si sarà raggiunto quest’obiettivo, al Nord le operazioni, proprio per evitare che Hamas continui ad agire, dovranno rivolgersi gioco forza anche al Sud?

Per il momento l’obiettivo è il Nord della Striscia, perché da lì partono più attacchi: è dove Hamas si è organizzata meglio. Se dovessero farlo anche a Sud, gli israeliani impedirebbero il rifornimento di armamenti ai terroristi con un blocco navale, con il controllo del territorio. Ora però i tunnel sembrerebbero maggiormente concentrati nella parte settentrionale, nella zona abitata: è lì il cuore del problema. Si vogliono rendere inutilizzabili, ora e possibilmente per sempre, tutte le strutture offensive di Hamas.

A Sud, quindi, Hamas non può vantare la stessa presenza?

La Striscia di Gaza non è vasta, ma da quello che s’intuisce dall’intervento di Israele gli uomini di Hamas e i loro alleati non hanno una struttura omogenea a Nord e a Sud. Hanno i tunnel, depositi di razzi, e personale anche a Sud di Gaza, ma non la stessa ramificazione e concentrazione.

Intanto è stata colpita la base Onu, dove ci sono anche i soldati italiani. Fonti libanesi dicono che sarebbe stato un colpo di artiglieria israeliana. Qual è il compito dei nostri militari e cosa rischiano?

Bisogna vedere se è veramente colpa di Israele: non ne siamo sicuri. Di balle propagandistiche se ne sentono e leggono in continuazione. Israele non ha interesse ad andare contro le forze Onu e la perizia del suo esercito fa escludere immediatamente che si tratti di “fuoco israeliano”. I soldati delle Nazioni Unite sono una forza d’interposizione, non hanno armamenti e mezzi, per fare un esempio, del tipo di quelli di cui erano dotati i nostri soldati in Afghanistan: il loro compito è evitare che i due eserciti si scontrino e controllare la zona d’interposizione. Adesso occorrerà vedere come vorranno comportarsi i terroristi di Hezbollah, sono la fonte di preoccupazione, insieme al loro sponsor: l’Iran.

Come mai la Giordania ha chiesto aiuto agli Usa suggerendo di schierare batterie di missili contraerei americani Patriot al suo confine?

Ammesso che sia vero, se chiedi di schierare i Patriot è perché credi che ci sia una minaccia contro di te dall’aria. Però non è verosimile né che Israele, né che Hamas attacchino la Giordania. Quindi, se si esclude tale ipotesi non vedo la minaccia da cui proteggersi. Missili o aerei di chi? Sarebbe interessante saperlo.

Sull’azione di terra, alla fine, cosa ci dobbiamo aspettare? Che Israele prosegua con le pressanti operazioni che sono state messe in atto negli ultimi giorni?

Si andrà avanti con operazioni tese, quadrante dopo quadrante, all’eliminazione di Hamas. L’organizzazione terroristica palestinese cercherà di frenare l’avanzata usando ostaggi israeliani e civili palestinesi come scudi umani e sfruttando i tunnel. Israele proseguirà per cercare di metterle sempre più pressione. Poi ci metterà “il suo peso” anche la comunità internazionale che in alcune nazioni e in diversi frangenti già cerca di far passare, come detto, il carnefice come vittima.

Un’operazione del genere per gli israeliani non può essere controproducente dal punto di vista della liberazione degli ostaggi? Non è più difficile essere sicuri di salvarli se si procede in questo modo?

Quello degli ostaggi è un rischio considerato, ma se gli israeliani non mettono pressione a Hamas non ottengono niente: la priorità è questa. Se non lo fanno, non possono neanche sperare che i terroristi entrino nell’ordine d’idee di liberare le persone che hanno rapito.

Come mai Hamas riesce ancora a lanciare razzi verso Israele?

Lo fanno ancora, ma ogni volta che viene lanciato un razzo, viene individuata (e probabilmente distrutta) la postazione dalla quale proviene. Più Hamas andrà avanti e più indicherà anche a Israele dove colpire. I razzi non entrano più a Gaza, il loro numero si riduce ogni giorno, presto per logica finiranno.

Che cosa pensano di fare gli Usa con il Governo Netanyahu? E se pensassero di cambiarlo per non creare una crisi politica che complica la situazione? Sostituendolo magari con Gantz?

A mio parere se il governo americano sta riflettendo su questo, al momento, è un esercizio che non serva a niente: Israele è un Paese democratico, ci saranno libere elezioni. Quando finirà la stagione della guerra Israele andrà al voto. Nessuno può imporre qualcosa nell’urna. Le lobby americane non dovrebbero funzionare in Israele: se ci sono pressioni sono quelle che normalmente si verificano in periodo elettorale. Non possiamo dire che gli americani decidono chi dovranno votare gli israeliani. Viceversa, forse influiscono di più le lobby ebraiche negli Usa per le elezioni presidenziali.

Se non vogliono l’esodo dei palestinesi, qual è il futuro che gli israeliani immaginano per la Striscia di Gaza?

Israele non occuperà Gaza definitivamente e farà capire che quando lascerà la Striscia se Hamas dovesse tornare a dispiegare la sua capacità terroristica offensiva, la stessa sarà colpita nuovamente, distruggendo i sistemi di attacco. Nulla, comunque tornerà come prima.

Ma chi governerà quei territori? Israele vorrebbe il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese (Anp)?

Per ora gli israeliani si limitano a entrare per neutralizzare Hamas, il futuro sarà definito a operazione finita, in base anche ai risultati dell’intervento militare stesso. L’unica che potrebbe governare, tuttavia, potrebbe essere l’Anp.

(Paolo Rossetti)

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