L’ultima notizia dal fronte universitario italiano è di ieri: gli studenti filo-palestinesi hanno occupato la facoltà di ingegneria a Bologna, la città di Elly Schlein (sempre silente, però, a due settimane dal voto europeo, sui momenti di impegno politico giovanile tipicamente vicini ai “dem”, come nel caso delle “sardine” del 2020). Bologna è in ogni caso l’anello di una catena allungatasi negli ultimi giorni fra Torino (balzata alle cronache per l’intervento “antisionista” di un imam) e la Sapienza di Roma (dove il Presidente della Repubblica pochi giorni fa è andato a chiedere moderazione nelle forme di protesta); dalla Statale di Milano a Palermo, da Siena a Trento e Venezia. Senza dimenticare Pisa: teatro tre mesi fa del primo scontro fra studenti e polizia.



Il rettore è ancora al suo posto (lo sono ancora tutti, dopo aver per lo più aderito alle richieste di boicottaggio di Israele avanzate dagli studenti). Il questore della città toscana è stato invece rimosso per non aver evitato il ricorso ai manganelli contro cortei che stavano minacciando luoghi sensibili per la comunità ebraica.  Ha pagato lui il conto della severa reprimenda del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al ministro dell’Interno, Marcello Piantedosi a difesa della libertà costituzionale di pensiero e parola nella democrazia italiana: anche nella contestazione del governo israeliano per la guerra di Gaza. E anche il ministro dell’Università (di Stato), Anna Maria Bernini, da allora si limita a dichiarazioni di deplorazione, accompagnate da raccomandazioni ai rettori. Ma lo stesso rettore di Torino – di fronte al caso-imam sotto le sue finestre – non è andato oltre un comunicato di dissociazione e condanna.



L’ultima notizia dal fronte universitario statunitense è di una settimana fa. La rettrice del Dartmouth College – affiliato da secoli all’esclusiva Ivy League, che tra le altre comprende Harvard, Yale, Princeton e Columbia – è stata sfiduciata dalla faculty dei professori. Sein Beilock – una psicologa israelita – è stata l’ultima di una lunga fila di president a chiamare la polizia per sgombrare l’attendamento pro-Palestina eretto dagli studenti nel campus. Ma nell’operazione i cop non si sono trattenuti dal malmenare anche una docente: una storica prestigiosa, solidale con i suoi studenti. Di qui la prima “censura” in 255 anni votata a maggioranza (183 contro 163) contro un rettore di Dartmouth. Ma per Beilock è giunta immediata anche la riconferma della fiducia da parte del board del Dartmouth: il consiglio d’amministrazione, espressione dei “padroni” del College. Anche a Dartmouth sono i donatori – spesso per cifre fino a 8 zeri in dollari – ad avere la prima e l’ultima parola e fra di essi – come in tutti i campus privati Usa –  gli israeliti hanno un peso importante. Sono stati i donatori a cacciare le rettrici (non israelite) di Harvard e Penn – accusate di “antisemitismo” – e a puntellare quella israelita del Mit, nonché quella della Columbia (la prima negli Usa a sollecitare sgomberi di polizia). Fin dallo scorso novembre, peraltro, la Dartmouth Review – il giornale universitario del college – aveva pubblicato un editoriale preoccupato sui primi segnali di interventismo dei grandi donatori nei campus americani attorno alla questione Gaza (anche a Dartmouth, era scritto, da parte di un “donatore israelita”). Il College del New Hampshire ha raccolto – durante l’ultima campagna strategica di fundraising – 3,7 miliardi di dollari in cinque anni, raddoppiando a 8 miliardi il suo endowment patrimoniale.



Il notiziario recente dagli Usa non ha mancato di registrare altri sviluppi. Il presidente Joe Biden, in campagna elettorale all’ultimo sangue contro Donald Trump, non manca di condannare il ritorno dell’“antisemitismo” dietro le proteste studentesche contro il governo Netanyahu: i donatori israeliti delle grandi università sono spesso gli stessi grandi finanziatori della politica e gli stessi proprietari/manager in settori-chiave come la finanza e i media. Però questo non ha impedito – nell’iper-democratica California – che il capo della sicurezza interna della Ucla venisse rimosso per non aver fatto intervenire i suoi agenti a difesa tempestiva di una tendopoli pro-palestinese aggredita da non meglio identificati “controprotestanti”.

Questa è la situazione in due Paesi diversamente rilevanti nell’Occidente euramericano investito dalle onde d’urto della crisi di Gaza. Due presidenti democratici (anche se uno in coabitazione con un governo parlamentare di centrodestra), due assetti universitari diametralmente opposti, due dinamiche sociopolitiche conseguenti. Che difficilmente sembrano destinate a mutare, mentre il conflitto mediorientale tende ad avvitarsi e in attesa che le elezioni – prima in Europa, poi negli Usa – chiariscano gli equilibri politico-istituzionali a medio termine.

 

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