Biden che propone un cessate il fuoco (con una prima fase di sei settimane di tregua per rilasciare alcuni ostaggi e un orientamento a trattare a oltranza per evitare comunque il ritorno alle armi) presentandolo come proposta che arriva da Israele. Netanyahu che, invece, ribadisce le sue condizioni: neutralizzazione di Hamas e consegna delle persone rapite il 7 ottobre. Alla fine anche questo nuovo rilancio del presidente americano per ottenere una tregua duratura che sfoci nella fine della guerra a Gaza sembra più un tentativo di dimostrare all’opinione pubblica americana di essere intenzionato a concludere il conflitto che l’invito a una trattativa destinata ad andare a buon fine.



È probabile invece, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri in congedo con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, che si continui con l’operazione a Rafah senza un’intesa per il cessate il fuoco, con il governo Netanyahu al suo posto e Gantz che non se ne andrà dall’esecutivo perché sa che non conterebbe più niente. Senza dimenticare che di piani per il futuro di Gaza non ce ne sono: prima ancora di stabilire se nascerà o meno uno Stato palestinese (che gli israeliani non vogliono), anche se Paesi arabi e occidentali si faranno carico della ricostruzione, in attesa che la Striscia torni a essere abitabile ci saranno oltre due milioni di persone senza casa e lavoro da gestire.



L’iniziativa di Biden come va letta? Il presidente americano subisce il pressing interno e i sondaggi non favorevoli in vista delle presidenziali di novembre e cerca di forzare la mano?

Biden è pressato da problemi interni, la magistratura gli sta dando una mano con la condanna di Trump, ma non basta. Quindi si è inventato questa formula di pace, ma credo che si arrivi a poco. Non ha fatto altro che prendere una precedente proposta israeliana ammorbidendola. Ma Israele al suo interno ha un’estrema destra che non vuole discutere, una parte centrista disponibile a confrontarsi e Netanyahu che è nel mezzo, pronto anche a un accordo purché vengano restituiti tutti gli ostaggi. La proposta di Biden non serve a nulla, solo a guadagnare un po’ di tempo.



Qual è allora l’obiettivo politico del presidente?

Vuole far vedere che non è filoebraico più di tanto, ma è una situazione nella quale non si riesce a fare gran che. Israele non vuole assolutamente che Hamas sopravviva, almeno il suo braccio armato, poi forse si potrà discutere sui due Stati, anche se non credo che il governo Netanyahu sia d’accordo. Non si può prescindere, comunque, dall’eliminazione di Hamas.

Da parte palestinese questo accordo potrebbe essere accolto?

In Hamas c’è una parte politica che ha un certo tipo di visione, che però non si può scontrare con l’ala militare che agisce nella Striscia. Quest’ultima non accetterà intese, ne va della sua sopravvivenza.

Se nessuno rompe il fronte interno, israeliano o palestinese che sia, resteremo in questa impasse?

Non vedo grandi vie di uscita, si andrà avanti così. Il “can can” è servito a una cosa, a evitare un intervento più deciso da parte dell’IDF. Israele non sta premendo sull’acceleratore come voleva fare prima.

Gli attacchi a Rafah comunque ci sono, si parla di profughi difficili da raggiungere, di ospedali che non funzionano più. Una situazione comunque pesante.

Un mezzo stillicidio, con attacchi non così consistenti. Ma ci sono e fanno morti. Anche perché nessuno vuole prendersi gli sfollati, compresi Giordania ed Egitto.

Ci sono pressioni congiunte di Qatar, Egitto e USA perché Netanyahu accetti l’accordo, serviranno a qualcosa o come al solito Israele andrà avanti per la sua strada senza ascoltare nessuno?

Israele cederà solo se almeno la parte militare di Hamas si arrenderà e se verranno restituiti gli ostaggi. Allora si potrà trattare. Senza il tentativo è destinato a fallire.

Manca anche sempre un piano su cosa sarà Gaza nel dopoguerra?

I problemi inizieranno dopo il cessate il fuoco. I palestinesi, e credo che sia giusto, vorranno uno Stato indipendente. Il problema sarà: nelle more delle discussioni la popolazione come verrà gestita?

C’è tutto il tema della ricostruzione: i Paesi del Golfo potrebbero sostenerla ma vorranno la garanzia che la nuova Gaza non possa essere distrutta un’altra volta. Una garanzia per ottenere la quale ci vorrà tempo. Intanto, appunto, ci saranno oltre due milioni di persone senza casa, che faranno in attesa di sapere cosa decideranno per il loro futuro?

Credo che una volta finita la guerra le prime ricostruzioni ripartiranno abbastanza presto e che non ci saranno più attacchi, a parte qualche attentato terroristico in Israele. Gli arabi saranno i primi a impegnarsi in questo, ma un contributo lo daranno anche gli occidentali. La ricostruzione, però, non si fa in due giorni: la Striscia di Gaza è solo un ammasso di mattoni. Sarà un’operazione lunga, con i residenti che cercheranno di arrangiarsi mentre si ricostruisce. Nessuno se li prenderà, li lasceranno lì, ma chi li sfamerà? Ci vorrebbe un piano intermedio per gestire l’emergenza.

Lo scenario più probabile intanto qual è, che gli israeliani continueranno la loro operazione a Rafah e che l’accordo sul cessate il fuoco non si troverà?

L’IDF continuerà la sua azione senza che si arrivi a un accordo sulla tregua. La situazione può cambiare solo se l’ala militare di Hamas si arrenda e consegni gli ostaggi. Se Israele avesse avuto paura del numero di morti (che oggi vanno verso i 40mila) si sarebbe fermata prima. Gli israeliani sono arrivati a una tale esasperazione e hanno una destra così rigida che alla fine non si fermeranno.

Dal punto di vista politico Netanyahu cosa farà? Rimarrà con l’estrema destra che gli assicura i voti per governare in parlamento o sceglierà Gantz, che ha posto un ultimatum per la sua permanenza nell’esecutivo?

La destra è molto forte e Gantz non se ne andrà dal governo: alzerà la voce, cercherà di ottenere qualcosa, ma resterà. Sa benissimo che andarsene significa non avere più voce in capitolo e dare carta bianca agli altri. È un gioco delle parti.

(Paolo Rossetti)

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