Una risoluzione non vincolante, e che presuppone un accordo tra Israele e Hamas nei fatti ancora tutto da dimostrare. Il voto del Consiglio di sicurezza dell’ONU che ha approvato con 14 sì e l’astensione della Russia il piano in tre punti fatto proprio dal presidente USA Joe Biden, sulla carta potrebbe rappresentare una svolta nella guerra a Gaza. Ma i commenti delle parti in causa dimostrano che non è proprio così. Anzi, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università Sapienza di Roma, guardando il linguaggio utilizzato nel documento, la risoluzione appare un’esortazione, un tentativo di forzare la mano e di indurre israeliani e Hamas ad accettare un’intesa che finora non sono mai riusciti a raggiungere. Difficile, insomma, che in virtù di questa decisione inizi un percorso che può portare alla pace.
Che cosa prevede nello specifico la risoluzione del Consiglio di sicurezza?
La risoluzione 2735 (2024) fa sostanzialmente suo l’accordo – presunto, devo aggiungere – fra Israele e Hamas per un cessate il fuoco transitorio, ma che dovrebbe essere trasformato al termine delle sue tre fasi di applicazione in un cessate il fuoco permanente, comprendendo, cioè, la fine delle ostilità.
Le tre fasi come si sviluppano?
La prima fase prevede un cessate il fuoco completo con il ritiro delle forze armate israeliane dagli insediamenti civili, al quale si dovrebbe accompagnare il rilascio di alcuni degli ostaggi, scambiati con prigionieri palestinesi, oltre che il ritorno dei civili palestinesi, sostenuto dall’assistenza umanitaria della comunità internazionale, al fine di ripristinare una certa normalità di vita sul martoriato territorio di Gaza. Nella seconda fase si dovrebbe stabilire un accordo per la cessazione permanente delle ostilità, accompagnata dal rilascio di tutti gli ostaggi e un ritiro completo delle forze militari israeliane dal territorio di Gaza. Nella terza fase si prevede l’elaborazione e la realizzazione di un piano di ricostruzione. È un piano ambizioso, è vero, ma può funzionare solo se attuato in buona fede dalle parti, in tutte le sue articolazioni.
La risoluzione ricalca la proposta formulata recentemente da Joe Biden per il cessate il fuoco a Gaza. Non ci sono stati che si sono opposti o che hanno messo il veto. Hamas, però, avrebbe proposto di emendare alcune parti, suscitando le ire di Blinken. Ci sono concrete possibilità di attuazione, visto che finora le trattative non sono andate a buon fine?
L’impressione è che il Consiglio di sicurezza, sospinto dagli Stati Uniti, abbia cercato di forzare la situazione e, quindi, indicare l’esistenza di un accordo fra le parti che, in realtà, potrebbe non esserci, ovvero non esserci su alcuni dei suoi punti fondamentali. Ad esempio, un alto funzionario di Israele ha indicato che l’accordo debba essere interpretato secondo gli obiettivi dell’intervento militare israeliano, vale a dire la distruzione di Hamas. Hamas sembra presentare condizioni ulteriori per il suo assenso. Se si comincia così, la strada per un cessate il fuoco diventa problematica.
La proposta prevede il prolungamento della tregua iniziale di sei settimane nel caso in cui ci fosse bisogno di altro tempo per trattare. Di fatto lo scenario che viene descritto è quello di un cessate il fuoco definitivo oppure c’è ancora la possibilità di tornare a combattere, magari rinunciando unilateralmente a negoziare e addossando le responsabilità alla parte avversa?
Questo è previsto nel punto 3 della risoluzione; uno dei punti cruciali. Si prevede che, se i negoziati per l’attuazione della fase uno si trascinassero per oltre sei settimane, il negoziato debba nondimeno continuare sotto l’egida dei garanti, vale a dire gli Stati Uniti, l’Egitto e il Qatar, fino a quando tutta la fase uno venga completata e si possa accedere alla fase due. In sostanza, questa clausola indica che una impasse nei negoziati non può essere causa di un ritorno all’indietro. Vi è da chiedersi se, però, questa clausola riesca a fermare un’eventuale ripresa delle ostilità giustificata da una mancata osservanza degli obblighi rispettivi delle parti nella fase uno. In altre parole, se una parte intendesse riaprire le ostilità invocando come pretesto l’inadempimento dell’accordo ad opera dell’altra parte, sarebbe difficile fermare una ripresa della guerra.
Il testo ribadisce l’impegno del Consiglio per la soluzione dei due Stati. Un punto che Israele non ha mai detto di voler accettare. Manca chiarezza sulla posizione di Tel Aviv e su cosa conterrebbe l’accordo fra le parti, come sottolineato dalla Russia motivando il voto di astensione?
La risoluzione indica che il Consiglio di sicurezza è chiaramente orientato per la soluzione dei due Stati. Addirittura, il punto 6 indica che occorra collegare – fisicamente, immagino – la Striscia di Gaza con la Cisgiordania al fine di dare continuità territoriale al futuro Stato palestinese. Il Consiglio di sicurezza ha l’autorità di imporla a Israele. Occorre vedere se ne avrà la forza.
Questa decisione è vincolante? A chi toccherebbe l’applicazione della risoluzione? C’è un modo per obbligare le parti ad attuarla?
Ecco, questo è il punto fondamentale. A me pare che questa risoluzione non sia vincolante. Essa non si fonda sul capitolo VII della Carta, il quale consente al Consiglio di sicurezza di adottare atti vincolanti al fine di mantenere e ripristinare la pace e la sicurezza internazionale. Né la terminologia utilizzata sembra indicare che l’intenzione del Consiglio sia quella di imporre alle parti un accordo che esse potrebbero non desiderare. Nel punto 1, il Consiglio dice che Israele ha già accettato l’accordo, ma si è visto che all’interno del governo israeliano si comincia già a proporre interpretazioni piuttosto strane; sempre nel punto 1 si chiede (call upon) ad Hamas di accettare l’accordo; infine, nel medesimo punto, il Consiglio sollecita (urges) le parti a dare esecuzione all’accordo senza condizioni. Non è questo il linguaggio perentorio che il Consiglio può adottare.
Insomma, non c’è nessun obbligo né per Israele, né per Hamas?
Il testo è stato proposto dagli Stati Uniti, i quali non sembrano avere alcuna volontà di imporre perentoriamente una soluzione a Israele. Si tratta, come ho detto, di un testo esortativo che cerca di forzare le posizioni delle parti al fine di creare una soluzione accettabile. Il testo è certamente equilibrato e accettabile da qualsiasi parte che agisca in buona fede e sulla base di considerazioni di ragionevolezza. Ma le parti – ambedue le parti – nell’iniziare il conflitto e nel proseguirlo fino ad ora, nonostante l’immane catastrofe umanitaria e la pressione dell’intera comunità internazionale, non sembrano mosse da considerazioni ragionevoli.
(Paolo Rossetti)
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