Le riletture strumentali che Francesco Gazzara offre del variegato repertorio dei Genesis sono la perfetta provocazione per chi intende andare oltre l’ascolto superficiale di una lezione mandata a memoria. Raccogliendo questa sfida ci si può ritrovare a tu per tu con i preziosi segreti di quella grande musica partendo da differenti prospettive. Innanzitutto davanti a una scomposizione delle tessere di quei pezzi, poi a una loro ricostruzione partendo da altri elementi, o anche utilizzando quelli già in primo piano per dare il la a nuovi ed eccitanti collegamenti.
Questo e altro si svela nell’ascolto del secondo capitolo del progetto Gazzara Plays Genesis dal nome “Here It Comes Again” in uscita domani, 9 gennaio. Il titolo – come quello del precedente capitolo “Play Me My Song” – prende le mosse da una delle frasi chiave del testo di The Musical Box, uno dei momenti emblematici del canzoniere epico della band britannica.
E se le luci della ribalta spettano al pianoforte dell’ideatore Francesco Gazzara, lo stesso finisce per meritarsi nel contesto un titolo per così dire da “autore aggiunto” o perlomeno di arrangiatore anomalo. Accanto al piano infatti sfilano quelli che sono stati negli anni alcuni degli strumenti principali utilizzati da Tony Banks nel comporre la pregevole tavolozza sonora della band inglese. L’organo Hammond, l’ARP 2600 e Pro Soloist, il Mellotron.
Nel personalissimo cartellino di questo capitolo ai contributi esterni di flauti e archi, da soli o in combinazione fino alla forma del quartetto, si aggiunge in un paio di episodi la chitarra elettrica, facendo suonare il tutto sotto una lente differente dall’ampiamente opzionata e ormai abusata forma delle reintepretazione dei Genesis in chiave classico-pianistica.
Il risultato è quello – sempre auspicabile – di una narrazione sonora che riaccade, rivive o forse – per la sua congenita immortalità – è semplicemente destinata a un tempo infinito. Una storia che viene ripensata, concepita e apparecchiata due passi oltre il rigorismo compassato dell’ensemble da camera, ma ben salda sulla soglia di una natura contemplativa che modella il tutto un attimo prima della sarabanda variegata del rock.
Così le celebri escursioni musicali del gruppo, tra le altre The Musical Box, Dance On a Volcano e Supper’s Ready – così come Firth of Fifth, The Cinema Show, Mad Man Moon e One For The Vine dal capitolo precedente – marcano visita andando a rintracciare, senza l’ausilio di corde vocali, tra melodie portanti e narrazioni strumentali quelle intime connessioni che – anche nei silenzi e nelle pause – hanno rivelato quella grazia sconvolgente fuori da ogni canone temporale. Una rimodulazione sonora che accoglie – anche nelle grandi ballate intimiste come Undertow e Heathaze – il contributo di sintetizzatori, organo e chitarre elettriche, intenzionalmente collocati in seconda battuta se non addirittura tratteggiati in maniera sospirata.
L’effetto è quello di riproporre il tutto con il pudore di chi non intende scavalcare la grandezza degli originali incisi in studio o dal vivo, ma di evidenziarne sfumature inedite o impossibili, grazie a un Gazzara che condivide con Tony Banks il gusto di giocare sempre sul filo del rasoio e sempre in punta di contaminazione.