Non conosco Guido e Giulio, i due fratelli gemelli che, dopo essersi sottoposti alle regolari cure ormonali previste dai protocolli sanitari dopo i 18 anni, oggi (ieri, ndr), in occasione del loro 23esimo compleanno, sono diventati Giulia e Gaia a seguito di una delicatissima operazione seguita dal dottor Cocci all’ospedale Careggi di Firenze. Questa non conoscenza diretta è aggravata dal non sapere come di preciso ci si senta nel disagio del proprio corpo, nel non percepire consonante l’identità fisica di ciò che si è con quella psicologica.



Certo, una difficoltà col corpo l’ho avuta anch’io – è un tratto della mia generazione – ma quello che ho imparato è che ciascuno di noi vede nel proprio corpo un’oggettivazione di sé che è chiamato a imparare ad amare. Quindi non posso neppure immaginare l’odio e il disagio verso se stessi a che cosa debbano portare. Tuttavia, nel più grande rispetto per ciò che non conosco, tre cose vorrei provare a dirle.



Anzitutto ci tengo a sottolineare che tutto quello che sentiamo o percepiamo, a prescindere dalle decisioni che ci porta a prendere, ha un motivo, ha un messaggio – un senso – da comprendere e da capire: “Perché sto così?” “Che cosa vuol dire questa cosa che continua a tormentarmi?” “Perché mi affascinano certe immagini o situazioni?”. La realtà, qualunque realtà, porta con sé una parola e prima di aver fretta di agire occorre, umilmente, tornare ad avere voglia di ascoltare.

Ma l’ascolto di quello che il nostro corpo ci dice non basta: è importante avere accanto qualcuno che ci aiuti a comprendere che, nonostante io possa interfacciarmi con altre persone simili a me nel dolore e nei percorsi, il mio dolore e il mio percorso sono unici. Trattare questa notizia di cronaca in modo gemellare è quanto di più superficiale ci possa essere, in quanto la vita – il Mistero – ha qualcosa da dire a me, alla mia irripetibile individualità.



Infine, anche dopo che le decisioni sono prese, esiste per tutti un ultimo tratto di strada, poche confuse miglia di vita in cui Elsa Morante immaginava potesse accadere di tutto. È in quell’ultimo tratto di strada che siamo chiamati a non perdere di vista ciò che siamo, ciò che la vita vuole ancora raccontarci prima di irrimediabili scelte o di inevitabili decisioni. La grandezza di una persona non sta in quel che diventa, ma in ciò che ha il coraggio di ascoltare. Anche nell’ultimo miglio di strada, anche ad un passo dall’ineluttabile futuro.

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