Gemma Calabresi, moglie di Luigi Calabresi, commissario di polizia ucciso in un attentato da alcuni esponenti di “Lotta Continua”, ha rilasciato la sua testimonianza ai microfoni di “Finalmente Domenica”, trasmissione in onda su Tv 2000. La donna ha esordito dicendo: “Era una mattina come tutte le altre. Avevamo bevuto il caffè assieme e lui era uscito. Più tardi iniziarono a suonare alla porta. Non avevo sentito gli spari, perché io abitavo un po’ all’interno. Cominciarono a dirmi: ‘È ferito a una spalla’, ‘lo stanno operando’, ‘non sappiamo in quale reparto lo abbiano portato’. Finalmente arrivò don Sandro, il mio parroco: gli chiesi di dirmi la verità e lui, con il solo movimento delle labbra e senza emettere alcun suono con la voce, mi disse che era morto”.
A quel punto, Gemma Calabresi ricorda di essersi catapultata sul divano con un dolore lacerante, una sensazione di vuoto totale: “Mi sono guardata intorno pensando che nulla avesse più senso. Avevo 25 anni, ero madre di due figli con il terzo in grembo. Non so dire quanto tempo sia trascorso. Ero con don Sandro che mi teneva la mano. A un certo punto sentii intorno a me come tutto ovattato: non percepivo più le persone che arrivavano. Era come se qualcuno mi avesse portato su una nuvola, tra la nebbia, da qualche altra parte. Ho provato una grande pace interiore, una pace fisica assurda, e una grande forza. Chiesi a don Sandro di recitare un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino, che aveva un dolore più grande del mio. Non era chiaramente farina del mio sacco: era qualcuno che testimoniava attraverso di me e mi indicava la strada. Quella mattina ho ricevuto da Dio il dono della fede. Lì scoprii che la fede è vita”.
GEMMA CALABRESI: “HO PERDONATO GLI ASSASSINI DI MIO MARITO LUIGI”
A “Finalmente Domenica”, Gemma Calabresi ha sottolineato che “anche dopo un dolore lacerante si può amare ancora la vita. Sono partita dal punto più basso, ma si può risalire, si può avere fiducia negli altri anche se ti hanno tradito e calunniato. Si può cambiare giudizio anche nei confronti di quelle persone che credevi essere tutto il male del mondo”.
Un giorno, durante il processo agli assassini del marito Luigi, Gemma Calabresi vide che gli imputati erano molto affettuosi coi loro figli. Uno di loro andò al fondo dell’aula, dove c’erano le panche per i parenti, e abbracciò il figlio con grande tenerezza: “Poi, mi misi a insegnare religione a scuola elementare e un mio alunno mi chiese perché muoiano solo le persone brave. Uscendo dalla classe, pensai che anche gli assassini di mio marito non sono solo quella cosa lì. Mi sono detta: ‘Io sto cercando di camminare, anche loro avranno camminato e saranno buoni padri. Che diritto ho io di relegare tutta la vita questi uomini al gesto più terribile che hanno commesso?'”.