Era il 17 maggio 1972 e la vita di Gemma Capra Calabresi cambiava per sempre: 49 anni dopo la notizia, improvvisa e non attesa, dell’arresto di Giorgio Pietrostefani che per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi è stato condannato come mandante. L’ex Lotta Continua è scappato in Francia alla vigilia della sentenza definitiva nel 2000 ma solo dopo 21 anni lo Stato transalpino ha accettato la richiesta dell’Italia (divenuta insistente con Draghi e Cartabia negli ultimi due mesi) di cattura ed estradizione.
Ne ha parlato ieri la stessa Gemma Capra, intervistata dal figlio Mario Calabresi nel podcast di ChoraMedia: «il perdono non è una debolezza, il perdono è una forza». Era nata come l’intervista per i 49 anni dall’omicidio Calabresi ma inevitabilmente dopo gli arresti dei 7 ex terroristi “rossi” in Francia ieri non poteva che partirà da quei fatti: in un’anticipazione offerta da Repubblica, la vedova del commissario ucciso da Lotta Continua (preso come obiettivo, innocente, del caso Pinelli) conferma la straordinaria “forza gentile” del suo percorso di perdono e pace faticosamente costruito in tutti questi anni. «Prima di tutto un chiaro e forte segno di giustizia e anche di democrazia. Certo, avrebbe avuto un altro senso per la nostra famiglia se fosse accaduto una ventina di anni fa. Tuttavia, penso che, da un punto di vista storico, quello che è successo sia veramente fondamentale», spiega la madre al figlio in merito agli arresti di ieri.
IL PERDONO, LA FERITA E LA FEDE
Gemma Capra è però diversa da quella di 49 anni fa, come spiega lei stessa «ho fatto un mio cammino, ma credo che anche loro non siano più gli stessi. E tra l’altro sono anziani e malati. Oggi non mi sento né di gioire né di inveire contro di loro, assolutamente». La vedova del commissario non lancia alcun “appello” al mandante del delitto contro suo marito, si limita a ribadire «Non voglio illudermi ma penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po’ di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po’ di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno». Al di là di Pietrostefani e degli altri ex terroristi, la forza di Gemma Calabresi non sta né nella “giustizia” né tantomeno nella vendetta che non ha mai covato, come ammette il figlio Mario: «Avevi 25 anni e vedevi l’uomo che amavi e che consideravi una persona per bene, che non c’entrava nulla con le accuse che gli venivano mosse, che subisce questa campagna di linciaggio, le minacce, le scritte sui muri, le lettere minatorie. Poi viene ammazzato sotto casa. Come facevi ad avere ancora fiducia negli esseri umani?». Ebbene, la risposta di Gemma è spiazzante: «Io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell’odio, ma ho fatto il possibile per darvi la gioia di vivere e di credere ancora nell’umanità, nell’uomo e nelle persone, nonostante tutto. Non ho mai perso la fiducia negli esseri umani, devo dire la verità. Perché quelle persone lì non rappresentavano l’umanità, non rappresentavano l’Italia. Io ho ricevuto centinaia e centinaia di lettere di solidarietà, lettere di affetto, io non mi sentivo sola. Per me la minoranza erano quelli che avevano deciso di ucciderlo, erano quelli che per un’ideologia sbagliata hanno costruito a tavolino un mostro al quale non corrispondeva assolutamente Gigi».
La strada del perdono non è però una forza interiore, tutt’altro: come spiega Gemma Capra «Il mio è un cammino di fede […] Ho dei momenti ancora magari difficili. Però io volevo arrivare a pregare per loro e riesco a farlo. Ogni giorno nelle mie preghiere, io prego perché loro abbiano la pace nel cuore. Lo prego tanto anche per voi, prima di tutto per i miei figli, che l’abbiano. Però questa cosa mi dà pace, mi dà serenità, mi dà anche gioia e io ci tengo a dire che il perdono non è una debolezza. Voglio dirti che il perdono è una forza, ti fa volare alto». Una “ferita sanata” per quegli arresti, ma la vera “forza” che ‘sana’ e ‘libera’ è proprio quel perdono che sembrava impossibile già 49 anni fa: «senz’altro è stata una vita pesante, ma sapete che non la cambierei? Perché è stata una vita intensa, ricca e piena di affetti, di amore, di gente che mi vuole bene. Eh, se io guardo gli altri, no, non mi cambierei. Qualche volta mi viene un po’ di rabbia quando vedo le persone anziane ancora insieme per mano, allora lì ho un attimo di debolezza, ma è bene così, è bella così. La mia vita comunque è stata bella».