La cosiddetta “Generazione Z“, che rappresenta nati nei medio tardi anni ’90, ha cambiato il rapporto che le generazioni precedenti avevano con il lavoro, e cioè vuole dare sempre più spazio alla vita personale e familiare, agli hobby, senza sacrificare troppo tempo libero in favore della carriera, lavorare meno e con condizioni più favorevoli. Se questo da una parte favorisce il benessere psicofisico della persona, dall’altro però ha un risvolto negativo che si ripercuote sulle aziende. Lo psicologo del lavoro Hannes Zacher, intervistato dal quotidiano Die Welt ha analizzato il fenomeno, spiegando come i datori di lavoro dovrebbero reagire, ma anche consigliando ai giovani di cambiare atteggiamento quando questo può diventare controproducente.



Ad esempio spiega l’esperto che uno tra gli errori più comuni che la generazione Z fa è quello di voler abbandonare il posto di lavoro sempre più presto, in un età quando ancora si è invece capaci di dare molto, secondo Zacher l’età della pensione dovrebbe corrispondere a 70 anni, per poter ottenere di più dalla vita. Inoltre “Le aziende sbagliano ad assecondare tutte le richieste dei dipendenti pur di trattenere i talenti più qualificati, perchè se si continua così in futuro la settimana lavorativa potrebbe ridursi a soli 4 giorni, limitando la produttività“.



Generazione Z e lavoro, l’analisi dello psicologo Hannes Zacher

Nell’analisi del rapporto tra Gen Z e lavoro, lo psicologo Hannes Zacher non sottolinea solo gli aspetti negativi, quali una maggiore richiesta di tempo libero e meno compiti da svolgere, ci sono anche evoluzioni positive. Ad esempio il fatto che i giovani sono oggi più predisposti alle conseguenze dello stress e si fanno coinvolgere meno dalle problematiche aziendali nella vita privata. Per questo le imprese devono puntare su flessibilità e leadership, per invogliare le nuole generazioni a dare il massimo e restare in azienda quanto più possibile stabilendo un rapporto di fiducia duraturo.



Uno dei problemi del futuro potrebbe essere poi quello della mancanza di manodopera specializzata, operai qualificati che svolgono lavori di tipo fisico i quali non possono essere sostituiti dall’intelligenza artificiale. E quindi è importante motivare i lavoratori anche quando stanno per raggiungere l’età pensionabile. Come sostiene Zacher “Se un dipendente si stufa di fare un lavoro fisico, l’azienda deve provvedere a riqualificarlo per poterlo sfruttare in un altro settore, un’idea potrebbe essere quella di impiegarlo come consulente“.