È questione di ore. E quando venerdì 25 marzo si alzerà il sipario sul contro-piano industriale Generali 2022-2024, potremo assistere a un episodio inedito, degno di una prossima serie di Netflix sulla Grande Finanza Internazionale: sarà un dipendente “in stallo” del Leone di Trieste, candidato ad per la lista di Francesco Gaetano Caltagirone, a presentare agli asset manager globali, tipo il team di Larry Fink di BlackRock per intenderci, il business plan, verosimilmente non suo, firmato dal consulente altrettanto globale Bain & company.

Protagonista di questi giorni e della trama intricata, soprattutto a seguito della comunicazione di sospensione con effetto immediato a favore del collega Giovanni Liverani pro tempore, è Luciano Cirinà. Triestino doc e fino a ieri da oltre 30 anni in Generali, ceo “sospeso” per l’area Centro Est Europa, Austria e financo la Russia, prima della ritirata dovuta agli eventi bellici. Un super dirigente allevato e cresciuto dalla casa del Leone fino a inserirlo al quinto posto della formale scala di successione. E che riesce in un’impresa unica e storica: essere top manager di entrambe le parti, delle Generali che nella prossima assemblea del 29 aprile per il rinnovo delle cariche presentano la lista del consiglio di amministrazione uscente, e sempre delle Generali che vorrebbe Caltagirone, socio con l’8,5% (o forse il 9%? O il 10%?), guidate dal candidato presidente Claudio Costamagna e appunto da lui, il bifronte Cirinà. Il quale, per i meriti guadagnati sul campo con Caltagirone, ha visto bene di chiedere a Generali l’aspettativa. Perché non si sa mai.

E così a partire da venerdì Cirinà andrà in giro per il mondo a fare engagement: Good morning, dirà ai super gestori, sono Cirinà di Generali e vengo a presentarvi il piano di Bain per Caltagirone, il secondo socio di Generali che ha dichiarato guerra al primo, Mediobanca, e che vuole far fuori il group ceo di Generali Philippe Donnet. Non sarà facile spiegare la posizione a chi si lamenta in genere della nostra burocrazia… Gli verrà forse più facile illustrare qualche particolare del suo curriculum, che gli ha fatto guadagnare (magari dopo qualche presa di distanza di altri candidati) le preferenze del Condottiero romano. Perché nemmeno il più esperto assicuratore (e lui lo è) sul mercato avrebbe potuto vantare la sua profonda conoscenza del piano triennale 2022-2024 presentato da Donnet il 15 dicembre 2021: ha semplicemente collaborato a farlo. Essendo sino a oggi responsabile di appena il 10% dei premi di gruppo senza alcuna conoscenza in Asset Management su cui, pare, si baserà il piano di Caltagirone.

E da manager di prima linea delle Generali ha sempre partecipato alle riunioni più o meno settimanali del Gmc, il Group management Committee, il comitato internazionale della compagnia responsabile delle priorità strategiche. Come dire: un vero insider. Poteva pescare meglio Caltagirone, che è stato a lungo vicepresidente di Generali e sicuramente ha avuto modo di apprezzarne il lavoro?

Certo, mentre Donnet ha presentato alla comunità finanziaria internazionale il piano triennale realizzato in mesi di lavoro dal top management delle Generali in veste di primo autore, lui non potrà farlo. Perché di mezzo c’è Bain e perché il business plan alternativo di Caltagirone, messo a punto in qualche settimana, dovrà essere frutto solo di dati pubblici: diversamente, soltanto un manager infedele avrebbe potuto essere messaggero di comunicazioni riservate.

Ma la serie formato Netflix avrà un altro momento clou. Quando Costamagna, che invece con tempismo e visione ha lasciato il suo precedente posto di presidente di Revo, e il dipendente di Generali Cirinà andranno nel corso del roadshow dagli asset manager globali, sicuramente qualcuno chiederà loro: cosa vi ha convinto a partecipare a questa sfida al buio? Sì perché così appare: Caltagirone ha forse il 10%, ma non di più. Mediobanca ha il 17% dei diritti di voto. E i fondi internazionali, che in assemblea saranno il socio di maggioranza con il 35-40%, decideranno la partita.

E anche qui non sarà facile spiegare proprio a loro, ai veri arbitri della disfida del Leone, che i candidati presidente e amministratore delegato hanno “buttato il cuore oltre l’ostacolo” “presumendo” una condivisione di progetti da parte di Leonardo Del Vecchio e di Crt, azionisti a Trieste rispettivamente con il 6,6% e 1,7% e con lo stesso Caltagirone membri del patto che l’imprenditore romano ha ben visto di lasciare per lanciare la sfida libero da sospetti di “eccesso di consultazione”. Uniti ma separati, azione da manuale in presenza di una vigile autorità di vigilanza.

E così gli scafati finanzieri internazionali potranno avere ben chiaro il quadro che gli si presenta in assemblea. Da un lato una lista, per lo più romanocentrica, presentata da un socio abituato a comandare solitario in casa sua (Roma) che schiera un dipendente triestino delle Generali che si gioca tutto “contro” le Generali; dall’altra, una lista presentata dal consiglio di amministrazione di Generali che affida la responsabilità della gestione, come avviene nei maggiori gruppi multinazionali, al top management del gruppo guidato dal 2016 dal group ceo, Philippe Donnet, francese con nazionalità italiana. Che nel (suo) piano triennale 2022-2024 ha collocato fra i target la distribuzione di dividendi complessivi per 5,2-5,6 miliardi, circa un miliardo in più rispetto al business plan (sempre suo) precedente.

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