Il 16 giugno si terrà al Senato un seminario dal titolo “Presentazione di liste di candidati da parte dei consigli di amministrazione uscenti delle società quotate” che di ora in ora cresce nel numero dei relatori e sta assumendo i contorni di una vera a propria “ammucchiata” in cui il dilemma morettiano “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo proprio?” sembra aver trovato la sua risposta definitiva per la prima opzione (ma aspettiamo a vedere le defezioni dell’ultima ora). Capita così che il numero dei relatori dal primo invito alla versione che circola in queste ore sia raddoppiato e comprenda ora una nutrita schiera di speaker che si allunga financo a comprendere l’onnipresente Sapelli che qualcosa da dire a beneficio dello share, quasi fosse lo Sgarbi della finanza, lo trova sempre.
Nonostante le circostanze drammatiche – tra guerra, inflazione e tentativo di ripresa dalla pandemia – suggerirebbero di convogliare altrove le energie e le attenzioni del nostro Parlamento, il Senatore D’Alfonso persevera nel portare avanti la sua crociata contro la possibilità per i consigli di amministrazione di presentare le liste per il rinnovo. Una crociata iniziata quest’autunno quando il Senatore si fece promotore di un disegno di legge mirato a creare una serie di discriminanti e ostacoli per evitare che i consigli uscenti possano presentare la lista per il rinnovo. Poco importa che sia una prassi adottata dalla quasi totalità delle società europee (45 su 50 nell’indice Eurostoxx50 che racchiude le 50 società a maggior capitalizzazione) e che l’assise triestina (con tutti corollari fatti di proxy e commenti degli analisti) abbia avuto un esito così netto. Il Senatore, infatti, prima della governance ha a cuore i desiderata del palazzinaro Caltagirone e non ha timore di proseguire la sua crociata anche se il voto compatto di tutti gli investitori istituzionali a Trieste ha mostrato che il re è nudo in questo dibattito dai contorni sempre più surreali.
Il 79enne costruttore romano, reso ancora più nervoso in questi mesi dall’ascesa nel panorama nazionale real estate di Manfredi Catella, è nero per la sconfitta patita all’assemblea delle Generali, dove il mercato ha votato compattamente con il board lasciando con il cerino in mano la strana cordata Caltagirone-Del Vecchio-CRT, e si è ritirato in un autoisolamento (non sono passate inosservate le sue assenze al Festival di Trento – dove ironia della sorte avrebbe dovuto parlare proprio di governance – e alle Considerazioni finali della Banca d’Italia) da cui giungono echi di litigi furibondi anche all’interno del suo entourage. Così i suoi zelanti referenti in Parlamento si ostinano a battere un chiodo che evidentemente si è piegato prima di entrare, come accade quando le martellate sono poco precise e il chiodo di scarsa qualità, in preda all’isteria tipica di chi vede un lavoro che sta venendo male ma non sa come raddrizzarlo.
Ne è riprova anche la recente convocazione di Donnet a opera della commissione banche presieduta da Carla Ruocco, la cui intesa con D’Alfonso si mormora non sia solo politica, dove il Ceo di Generali non solo ha dato le risposte che tutti già sapevano, ma si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa indicando l’assurdità e il provincialismo che trasuda dal concetto di “italianità” tanto sventolato in questo mese dalla cordata Caltagirone. Insomma, un’iniziativa che si è rivelata un boomerang e che spiega bene l’agitazione e il febbrile lavorio di questi giorni per il seminario del 16 giugno.
Il parterre è di tutto rispetto, i nomi tantissimi e gli editorialisti del Gruppo Caltagirone pre-allertati. La lista del consiglio non s’aveva da fare, ora si aspettano le motivazioni della sentenza che verranno lette il 16 giugno e che, si spera, non dovranno recare altre brutte sorprese sennò il capo chi lo sente.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI