Non è la prima volta che Mediobanca gioca con azioni che “si contano” sul mercato” e non “si pesano” in patti di sindacato, arma di potere prediletta dal fondatore Enrico Cuccia. Sono passati più di vent’anni da quando l’allora via Filodrammatici fu la regista della “Madre di tutte le Opa” su Telecom. E poco tempo dopo, scomparso Cuccia, il suo delfino Vincenzo Maranghi – ansioso di proteggere l’istituto – non ebbe scrupolo a farlo scalare da un gruppo di investitori esteri pilotato da Vincent Bolloré. Una mossa che tuttavia non rimase senza conseguenze: durante il Berlusconi-2, il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio promosse una “contro-scalata” di banche e Fondazioni italiane. Utile certamente a bloccare la “francesizzazione” del Leone, non ad allentare il controllo egemone di Mediobanca sulla compagnia.
Ancora – a proposito del “prestito titoli” che l’altroieri sera ha consentito a Mediobanca di salire in un attimo fino al 17,4% delle Generali – può non essere superfluo ricordare che già una trentina d’anni fa l’istituto pensò bene di piazzare a Trieste una “pillola avvelenata”: che attraverso un sofisticato meccanismo di warrant avrebbe consentito di creare dal nulla “azioni amiche” di un pacchetto allora limitato al 5% circa, per difendere il gioiello della corona. E quando la famiglia Agnelli, nel 2005, “ricomprò” la Fiat attraverso un discussissimo “equity swap” di Borsa – marginalizzando nell’arco di ore le banche che per anni avevano puntellato il Lingotto – l’operazione fu condotta da Merrill Lynch, ma più di un osservatore credette di vedere impronte note di Mediobanca.
Ciò che sembra rendere singolare la “battaglia delle Generali” in corso è che Mediobanca è chiaramente sulla difensiva. Sembra essersi infine risolta a inseguire Leonardo Del Vecchio (che è il primo azionista della stessa banca, oltre che grande azionista Generali), Francesco Gaetano Caltagirone e Fondazione Crt: che attendono il possibile (secondo alcuni probabile) accodo di Edizione Holding. Tutti assieme arriverebbero al di sopra del 16%: ma Mediobanca è già “scappata in avanti” raggiungendo il 17,2% e trattando un “pattino” con DeAgostini (1,5% nel Leone). Tuttavia quello della competizione aperta sul mercato rimane un terreno di gioco non congeniale a piazzetta Cuccia e non sempre di successo: nessuno dimentica che appena 5 anni fa l’altro “gioiello della corona” (il Corriere della Sera) venne sfilato a Mediobanca – che aveva dalla sua parte Unipol, Diego Della Valle, Carlo Bonomi e Marco Tronchetti Provera – al termine di una partita di rilanci-Opa favorevole a Urbano Cairo, sostenuto da Intesa Sanpaolo.
Dietro la “discesa in campo” di Mediobanca sulle “sue” Generali sembrano percepibili molte incertezze vecchie e nuove di una storia ormai cinquantennale. L’oggetto formale del contendere è infatti la poltrona di amministratore delegato oggi ricoperta da Philippe Donnet, estrema propaggine di una “francesità” in Generali fin dai tempi dell’alleanza fra Mediobanca e Lazard. Ma “francesi”, per molti veri, sono oggi sia Del Vecchio (patron di Essilor e di Covivio), sia Caltagirone, azionista di Suez. E – soprattutto – l’esterofilia ha perso molto appeal nella globalità post-Covid: anche nell’Italia di Mario Draghi. Il quale continua a mantenere un silenzio formalmente “neutrale” sul caso Generali.
Ma non c’è dubbio che basterebbe un cenno, all’ex Governatore Bankitalia e Presidente Bce, per muovere la leve della vigilanza: è vero che la Bce ha già frenato (ma non impedito) la scalata di Del Vecchio in Mediobanca, ma anche l’Ivass (accorpata da tempo in via Nazionale) per ora è rimasta a guardare una sua banca vigilata impegnata nella scalata di un’assicurazione. Un altro terreno su cui la banca guidata dall’amministratore delegato Alberto Nagel ha riportato più di un grattacapo quando si è trattato di stabilizzare FonSai, infine affidata a Unipol.
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