Arriva alla fine ed è l’unico momento incluso nel primo disco dedicato al periodo della storica band inglese con Peter Gabriel alla voce solista registrato davanti a una vasta audience, quella della Wembley Arena nel 15 aprile 1975, il brano è paradigma e manifesto di una realtà musicale che procede spedita sulla strada di un affiatamento che la porterà nel tempo, fase dopo fase e formazione dopo formazione, a rivelarsi come una delle più grandi live band di sempre. “… Salivamo sul palco” – ricorda Tony Banks – “e, tra ghiaccio secco e luci ultraviolette, che allora non erano ancora un cliché, attaccavamo Watcher of The Skies: allora tutti capivano di essere a un concerto dei Genesis …”.
I Genesis fissati nel tempo dal box “BBC Broadcasts” (EMI 2023, 5 CD – 3 LP, tracklist selezionata da Tony Banks, mastering agli Abbey Road Studios di Londra) sono quelli ritratti secondo l’immediatezza inalterata delle trasmissioni radio. Con tutti i pregi e i difetti legati alla qualità variabile della fonte che incontra talora le imperfezioni degli stessi protagonisti nei primi anni. Dalle esibizioni risalenti agli albori fino all’apice rappresentato dall’eccellente messa in onda dei concerti al vecchio teatro Lyceum di Londra in un 1980 che saluta lo stato di grazia di un gruppo che – sulle ali dell’entusiasmo di “Duke” album simbolo della grande seconda maniera – mette in cantiere un nuovo disco dal vivo a prendere il testimone del celeberrimo “Seconds Out”. I concerti al Lyceum agiscono da training di collaudo che porterà alle trionfali e insuperate registrazioni nelle grandi arene del 1981 selezionate per lo smagliante “Three Sides Live”.
Tra la fase in questione e quella successiva vanno a collocarsi i concerti nella sterminata distesa verde di Knebworth del 1978 e del 1992, in veste di headliner nell’ambito di altrettanti festival il cui albo storico dal 1974 ad oggi vede sfilare un’esauriente lista di celebrità dello show business del rock e del pop. Registrazioni insieme a quelle di Wembley 1987 che risultano ancora più devote al motto “warts-and-all” che privilegia il lato istantaneo e a “media fedeltà” di diffusioni offerte come alternativa a registrazioni live ufficiali che già si avvalgono da anni dell’alta qualità del multitraccia.
Il 1978 è quello della prima frequentazione dei grandi spazi sulla scorta della prima grande hit “Follow You Follow Me” che unisce melodia pop a lasciti di prog sound. Il 1992 – sulla scia del 1987 – quello di una macchina da hit lanciata a livello planetario con dosati e talora ben spesi rimbalzi verso la maniera artistoide old-style mediata dal trend elettronico del momento. Compromessi accorti e ben giocati per favorire lo status di band da grandi numeri e stadi gremiti al limite della capienza. E non manca un tributo riservato a due brani tratti dal brevissimo periodo e relativo tour con Ray Wilson alla voce, con una The Dividing Line che sorprende per tiro e finezza.
Restando al centro nevralgico di questa testimonianza della lunga attività live della band britannica, c’è un aneddoto eloquente che contribuisce a cristallizzare l’immaginario musicale di un’epoca. L’assalto dei fan al botteghino per garantirsi un posto al concerto dei Genesis allo storico Roxy di Hollywood del 25 maggio 1980, vede Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford dietro il banco in veste di venditori dei biglietti del loro stesso show.
Lo scenario storico è quello del citato album “Duke” del 1980, azzardo che lascia intravedere ancora oggi il sovvertimento del sound del gruppo nell’atemporale di una musicalità ibrida che interpreta un’esemplare mediazione di equilibri tra tradizione e attualità. Uno dei vari ma non numerosissimi dischi al confine delle decadi ’70-’80 che ancora oggi supera di slancio la prova del tempo.
La statura sensoriale di Banks e Collins, il presidio pragmatico di Rutherford, dinamiche, tagli e timbri incontaminati che incrociano analogico e pre-digitale. Nel Duke Tour si assiste alla transizione tra la prossimità affettiva dei vecchi teatri e l’ambiente delle prime grandi arene che andranno a sublimare la forma matura e svecchiata del sound del gruppo. Si respira – poco prima del citato “Three Sides Live” che rileva la brillantezza timeless di “Duke” – quel senso di naturalezza smisurata che l’affiatamento prodotto dal potere del trio Banks, Collins e Rutherford genera sul palco assieme ai fidi session-men Daryl Stuermer e Chester Thompson.
A rubare la scena il brano icona di questa metamorfosi Behind The Lines, autentico caso da manuale di riff di matrice tastieristica nella musica rock. Accordi e sonorità taglienti alternate a curve DOC di burro e panna montata, un crossover che sciorina art rock, pop e soul con tanto di citazioni Motown. Banks da sempre e ancor più in quel momento eminenza grigia del suono e della scrittura della band, Collins a metterci pregiate spezie vocali e ritmiche, quasi un incontro galante tra il lascito armonico dei Beach Boys di “Pet Sounds” e la sensualità accattivante delle Supremes.
E poi incursioni pop-rock felicemente anomali come Duchess, chiaroscuri d’autore come Guide Vocal, le collusioni rock-new wave di Turn It On Again, i fendenti sperimentali dell’intrigante Duke’s Travels. Nello stesso contesto timbrano le coordinate del senza tempo l’elegia di Ripples, la narrativa visionaria di One For The Vine, il corredo fusion di Los Endos e il rock ai limiti con la speculazione elettronica di In The Cage.
Uno show che inaugura un lustro (fino al The Mama Tour del 1984) all’insegna della contaminazione tra estetica sopraffina e amabile leggerezza. Arte elusiva e singolare energia confezionano in quel frangente temporale l’ideale compromesso tra rischio calcolato e gusto per l’imprevisto.
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