Torna alla ribalta, per via di una recente sentenza del Tribunale di Roma, la questione della filiazione nell’ambito di coppie di fatto omogenitoriali e delle coppie ad analoga struttura affettiva che hanno stipulato una unione civile. Su tale argomento il ministro dell’Interno, con proprio decreto interministeriale (il cosiddetto decreto Salvini), era intervenuto statuendo non per via legislativa ma per via regolamentare che si sostituisse l’espressione “padre” e “madre” alla dizione “genitore 1” e “genitore 2”. In questa sentenza i giudici accolgono il ricorso di due madri che chiedevano che sul documento di identità di un proprio “figlio” rilasciato dal Comune di Roma risultasse non la dizione governativa bensì la più neutra espressione di “genitore”; per far questo, il tribunale ha dichiarato illegittimo il decreto interministeriale citato.
In gioco è non solo il problema della neutralità del linguaggio burocratico, che mira a non creare discriminazioni tra i “figli” delle coppie omosessuali e i figli delle coppie eterosessuali, ma il concetto stesso di filiazione, nel nostro Paese regolamentato secondo norme coerenti rispetto all’idea di “famiglia naturale fondata sul matrimonio” di cui all’art. 29 della Costituzione.
La vicenda non è nuova per il giudiziario che aveva affrontato in svariati casi (e prevalentemente in nome del best interest of the child) la questione della filiazione quando questa non fosse riconducibile a coppie eterosessuali. Infatti, davanti alla Consulta è già stata posta la questione di costituzionalità relativa al riconoscimento della “genitorialità” di una cosiddetta “madre intenzionale” nell’ambito di una coppia omosessuale entro cui fosse presente un bambino nato con fecondazione assistita eterologa. Nel 2020 la Corte aveva dichiarato l’inammissibilità della questione, perché questa tipo di tutela del minore doveva essere definita dal legislatore.
Ritornando sulla questione, in due sentenze del 2021, la n. 32 e la n. 33, la stessa Corte, pur giungendo alla stessa conclusione, aveva con ampia argomentazione segnalato l’esistenza di un grave dubbio di costituzionalità della legge 40 e dell’art. 250 del codice civile che non consentirebbe al bambino nato da fecondazione eterologa realizzata all’estero da una coppia dello stesso sesso di acquisire lo status di figlio; pur non potendo intervenire direttamente, la Corte tuttavia aveva affermato che i nati con tale procedura devono godere di una qualche forma di tutela indipendentemente dalla modalità con cui è avvenuto il concepimento, benché tale modalità sia espressamente contraria alla legge. Tale carenza di tutela deve, secondo la Corte, indurre il legislatore a provvedere con urgenza.
Analogo richiamo viene compiuto dalla stessa Corte con la sentenza n. 33 del 2021; in questo secondo caso la situazione si presentava ancora più complessa in quanto relativa non alla fecondazione eterologa, compiuta all’estero da coppie dello stesso sesso, ma relativa a generazione tramite maternità surrogata, sempre compiuta all’estero, questa espressamente vietata dalla legge italiana a qualunque tipo di coppia. Anche qui, pur in presenza di una forma di generazione vietata dalla legge italiana, si sarebbe in presenza di una mancata tutela del concepito e del nato, rispetto alla quale il legislatore – sollecitato a provvedere – è rimasto totalmente inerte.
Un altro tribunale è invece intervenuto a sanare una situazione parzialmente diversa ma sempre rientrante in questa serie di casi. Nel 2021 è stata infatti pronunciata una sentenza da parte della Cassazione che ha dichiarato la validità in Italia di un documento rilasciato da un ordinamento estero (in questo caso statunitense) relativo ad un bambino di una coppia omoaffettiva che lo aveva adottato sempre all’estero, dove tale forma di adozione è riconosciuta. Qui la Corte aveva dichiarato non contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento in Italia, che pure non prevede per legge l’adozione per le coppie in esame, degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero benché in violazione della legge italiana in materia di adozione; a tale riconoscimento non osterebbe che il nucleo familiare straniero sia di natura omogenitoriale, visto che qui non vi era stata né fecondazione eterologa né maternità surrogata, ma semplice adozione, avvenuta all’estero col consenso dei genitori biologici ma non coerente con la normativa italiana che, appunto, non consente l’adozione a coppie omoaffettive.
In buona sostanza, siamo in presenza di una “regolamentazione” quanto mai disorganica e casuistica posta in essere tramite sentenze che stabiliscono caso per caso che cosa si intenda per filiazione, senza che vi sia un provvedimento generale, valido erga omnes, relativo alla filiazione stessa e alle casistiche che si presentano a seguito di scelte genitoriali in parte legittime (unioni civili) ma in parte contrarie alla legge italiana per essere frutto di modalità di generazione espressamente vietate.
L’origine di questa dicotomia sta nel fatto che la legge italiana, che pure consente l’unione civile delle coppie dello stesso sesso, non consente alle medesime né l’adozione né la fecondazione eterologa (consentite invece alle coppie eterosessuali) e vieta in ogni caso, indipendentemente dalla struttura affettiva della coppia, la maternità surrogata.
Il caso del Tribunale di Roma è quindi un nuovo passo verso la parificazione (in questo caso solo relativa alle denominazioni, ma non per questo meno significativa) della filiazione legittima con altre forme di “filiazione” senza che questa decisione venga presa dagli organismi competenti, cioè dal potere legislativo, che gode della necessaria legittimazione popolare, come la stessa Corte Costituzionale ha affermato senza tuttavia essere in grado, per la sua posizione istituzionale, di trasformarsi da legislatore “negativo” in legislatore vero e proprio.
In casi come questi alla Corte spetta solo di spingere il legislatore ad agire, senza alcun potere coercitivo, ma solo confidando nella sua volontà di collaborazione, volontà che non è detto che coincida con quanto la Corte auspica.
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