La Corte d’appello di Roma ha condannato il Viminale ad “applicare la dicitura ‘genitori’ sulle carte d’identità rilasciate a persone minorenni”, al posto della dicitura madre/padre come previsto dal decreto Salvini del 2019. I giudici oggi hanno affermato che sulla carta d’identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile. Cosa del tutto comprensibile. E in effetti il problema dipende da cosa ci sia scritto nei registri dello stato civile.
Non possiamo dimenticare che alla fine di gennaio di quest’anno la sezione famiglia della Corte d’appello civile di Milano ha dichiarato illegittima la trascrizione della madre intenzionale negli atti di nascita dei figli delle coppie omogenitoriali femminili, che avevano fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita (PMA). C’è un’evidente contraddizione tra le due sentenze e su questo occorre richiamare l’attenzione delle autorità competenti.
La dicitura genitore 1 e genitore 2 serve a glissare sul fatto incontrovertibile che un bambino può avere solo una madre e un padre, anche se davanti ad un’evidente assenza della figura paterna potrebbe creare la convenienza e/o la opportunità che ci fosse un’adozione speciale da parte di un’altra donna, facente funzione di-. È chiaro che il documento di identità deve riflettere fedelmente ciò che c’è nell’atto di nascita, ma è altrettanto chiaro che nell’atto di nascita non possono esserci due donne. L’eventualità di un’adozione successiva risulterà da altri atti e documenti, ma non dall’atto di nascita. E sarà trascritta con le modalità opportune nel documento di identità del minore.
Ciò che appare chiaramente in tutta questa complessa questione giudiziaria è che c’è una vera e propria ostinazione nel voler negare le normali leggi della natura, quella ecologia della nascita che prevede senza alternative di sorta che ogni persona sia concepita da un uomo e da una donna, comunque avvenga la relazione tra oocita e spermatozoo e che sotto il profilo biologico e genetico questi siano i suoi genitori naturali, anche se uno di loro si rifiuterà di assumersene la responsabilità. Nessuno nega che sul piano affettivo il contesto familiare in cui cresce e viene educato un bambino possa essere diverso. Sono sempre più i nonni che si prendono cura dei nipoti, possono esserci degli zii e possono esserci delle relazioni affettive diverse che supportano il processo di sviluppo di un bambino, dandogli amore e molto altro ancora.
Ma ciò che sorprende nella recente sentenza del tribunale di Roma, almeno così sembra dalle notizie riportate dalla stampa, è che non si tenga conto di tre fatti essenziali:
a) Chi e con quale autorità cancellò l’iniziale dicitura madre e padre, per secoli considerata come carattere strutturale dell’appartenenza di un bambino ad un determinato nucleo familiare, per sostituirla con la più anonima delle diciture, genitore 1 e genitore 2, cancellando le naturali differenze tra padre e madre per far spazio alla omogenitorialità;
b) Se è giusto che ci sia corrispondenza tra certificato di nascita e carta di identità, perché non applicare la sentenza del tribunale di Milano che ha ribadito come non si possa registrare la nascita di un bambino come figlio di due madri e quindi se questo non appare sul certificato di nascita non può apparire neppure nella carta di identità;
c) L’omogenitorialità non esiste sul piano biologico e genetico, ma neppure sul piano affettivo ed educativo; anche nelle coppie omosessuali sussistono profonde differenze tra le due donne, e il riconoscimento delle differenze non significa discriminare l’una o l’altra. Anzi, ribadire che una è la madre biologica e l’altra la madre adottiva amplifica gli spazi di verità e di autenticità nella relazione con il figlio.
In definitiva la sentenza emessa oggi dal Tribunale di Roma non scioglie affatto tutti i nodi connessi alla complessa nascita di bambini nelle coppie omosessuali femminili. Apre nuovi problemi, senza risolvere i vecchi, come spesso accade quando prevale un approccio ideologico a cui si sacrificano le evidenze che sono sotto gli occhi di tutti. Tutelare i diritti di questi bambini, comunque siano stati concepiti e qualunque sia il contesto in cui vivono, è un dovere fondamentale della nostra società, soprattutto ora che sembrano aumentare di numero e pongono nuove esigenze e nuove problematicità. Ma non si assolverebbe questo compito oggettivamente sempre più complesso, se si negasse l’oggettività dei fatti e si volessero omologare situazioni che sono intrinsecamente diverse. Servono soluzioni nuove e non falsi arrangiamenti.
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