Il Sudafrica ha portato Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia all’Aja con l’accusa di genocidio contro i palestinesi, accusandolo di aver trasgredito l’articolo 2 della convenzione Onu. Lo si potrebbe definire l’ultimo atto di un rapporto altalenante e a tratti contraddittorio. Il Paese africano aveva già sospeso le relazioni con Israele il 21 novembre accusando Tel Aviv di “crimini di guerra” mentre una settimana prima, il 16 novembre, aveva presentato un’altra denuncia, questa volta alla Corte penale internazionale, per un’indagine su presunti crimini di guerra commessi da Israele a Gaza. La causa del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia ha trovato soprattutto il sostegno compatto di diversi Paesi a maggioranza musulmana e da organizzazioni, o singoli Stati, arabi. Quali risvolti attendersi dunque ora? Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano, intervistato a l’Avvenire ha fatto chiarezza.
“Il ricorso presentato dal Sudafrica, in discussione in queste ore davanti alla Corte internazionale di giustizia, ha per oggetto la discussione delle misure cautelari. Non siamo ancora, quindi, nel giudizio ordinario che stabilisce torti e ragioni, ma semplicemente in una fase preliminare che richiede misure cautelari e urgenti per impedire l’aggravarsi della situazione”. Come ha spiegato quindi il professore è stato fatto solo un primo passo, seppur significativo.
SU COSA SI FONDA L’ACCUSA DI GENOCIDIO DEL SUDAFRICA CONTRO ISRAELE
Come ha spiegato Della Morte secondo il Sudafrica Israele, nel rispondere agli attacchi dello scorso 7 ottobre di Hamas, avrebbe ecceduto i limiti del diritto internazionale. Come conseguenza si era assistito infatti alle uccisioni di 21.110 palestinesi cui vanno aggiunte 7.710 persone scomparse, presumibilmente sotto le macerie. A ciò inoltre sono seguiti anche la privazione per la popolazione all’accesso all’acqua, al cibo, ai medicinali, e le deportazioni di massa in regioni non attrezzate ad ospitare un numero così alto di persone. Tutte queste azioni sono state fatte rientrare sotto il termine di ‘ genocidio’.
Il giurista fa notare poi che la Convenzione dell’Aja chiede di punire il genocidio, ma anche l’intenzione, il tentativo e la complicità a commetterlo. E ancora la Convenzione prevede non solo l’obbligo di punire, ma anche l’obbligo di prevenire il genocidio. Dunque l’area di intervento si allarga e si può intuire come ci possa essere ampio spazio di argomentazione in seno alla Corte. Quel che è certo secondo Della Morte è che sarà “l’occasione di far entrare una buona volta i limiti espressi del diritto internazionale nel dibattito politico.”