TRENT’ANNI DAL GENOCIDIO TUTSI IN RUANDA: COSA FECERO GLI HUTU, I MOTIVI E LA CONTA DELLE VITTIME

Sono passati 30 anni dal genocidio in Ruanda dei tutsi e hutu moderati, perpetrato dagli islamisti dell’Hutu Power e dei membri dell’Akazu: iniziò tutto la notte del 6 aprile 1994 con un attentato aereo, si chiuse il 16 luglio dello stesso anno con la cacciata dei genocidari hutu da Kigali, anche grazie all’intervento ONU con milizie di Belgio e Francia. Tre decenni dall’inizio di quell’assurda e folle pulizia etnica che a ragione è stata definita anni dopo come autentico genocidio, l’ultimo in termini cronologici di un Novecento purtroppo protagonista in negativo dei massacri di massa su vasta scala.



Il genocidio del Ruanda ebbe inizio il 6 aprile 1994 quando un aereo con a bordo il presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana, e il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira – entrambi di etnia hutu – venne colpito da due missili nella capitale Kigali: fu quella la miccia che diede il “movente” alla maggioranza hutu per perseguitare la minoranza tutsi ritenuta responsabile dell’atto terroristico. In un Paese nel pieno dell’Africa coloniale pre-Novecento dove la comunità internazionale ha purtroppo “favorito” le divisioni tra le etnie storicamente rivali di hutu e tutsi, il Ruanda si risvegliò quella notte di trent’anni fa con il sangue e gli spari in tutte le città e le campagne. «Schiacciare gli scarafaggi»: era questo il lugubre annuncio dato alla Radio Télévision Libre des Mille Collines dalle le milizie Interahamwe (l’ala giovanile del partito al potere, il Movimento Repubblicano Nazionale per la Democrazia e lo Sviluppo) di etnia hutu. Inizò così la caccia all’uomo degli odiati tutsi considerati appunto «insetti e creature inferiori»: odio, persecuzione e intento genocidiario per 100 lunghissimi giorni proseguì in tutto il Ruanda giungendo a numeri di vittime difficilmente calcolabili ancora oggi.



Si parla infatti di almeno 800mila morti trucidati in poche settimane per il solo essere tutsi o addirittura perché hutu moderati che cercarono di nascondere i perseguitati dentro chiese, palestre, villaggi e addirittura hotel di lusso (celebre la storia dell’eroico direttore d’albergo Paul Rusesabagina che mise in salvo 1268 tra hutu e tutsi, come raccontato dal film “Hotel Ruanda”). Su una popolazione di 7.300.000 all’epoca, l’84% era di etnia hutu, il 15% tutsi e l’1% twa: ebbene, le cifre ufficiali diffuse dal governo ruandese parlano di 1.174.000 persone uccise in soli 100 giorni (ovvero 10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto). Con il Belgio rimasto inerme, gli Usa letteralmente immobili dopo che pochi anni prima avevano perso una missione molto delicata in Somalia e la Francia accusata di “doppio gioco” – Macron anni dopo chiese scusa ufficialmente al popolo del Ruanda per l’appoggio che Parigi diede all’epoca con l’invio di armi e munizioni all’esercito hutu – il genocidio in Ruanda finì solo quando il neo-presidente tutsi Paul Kagame dal confinante Uganda riuscì a riconquistare Kigali facendo cadere il governo ad interim degli Hutu con l’appoggio dell’ONU.



LA TESTIMONIANZA CHOC DELLA DONNA CRISTIANA STUPRATA DAGLI HUTU: “LI POSSO PERDONARE SOLO PERCHÈ…”

«Mi hanno trovato nascosta a pancia in giù, mi hanno colpito sulla testa, sulle braccia e sulla schiena, ho cicatrici ovunque ma sono sopravvissuta»: così racconta alla Rai una testimone diretta e vittima di stupri molteplici in quei 100 giorni di “lucida” follia in Ruanda, sotto il silenzio pressoché totale della comunità internazionale. Come lei migliaia di donne e bambini venivano torturati, stuprati e in alcuni casi anche trucidati, mentre gli uomini subivano violenze che quasi sempre terminavano con l’esecuzione. «Eravamo tantissimi in quella chiesa, dove hanno massacrato migliaia di morti e dove volevano ucciderci tutti», spiega ancora la donna tutsi di fede cristiana intervistata dall’inviato di Rai News24 in Ruanda.

«Un poliziotto mi ha trovata, ha infilato il suo dito nella ferita che avevo in testa: poi mi ha portato in una casa dove molte di noi venivano stuprate»: per la straordinaria testimone di quelle violenze perpetrate nel 1994 c’è un’unica definizione che le viene in mente, «quelle persone erano diavoli, animali, non riesco a capire come qualcuno possa stuprare una donna davanti a sua moglie». La donna racconta poi di aver affrontato il processo di “riconciliazione” presso la Corte Penale Internazionale e lì 7 delle persone che l’avevano torturata e stuprata le chiesero perdono di quelle violenze: «ho pensato che perdonarli mi avrebbe permesso di essere una madre migliore, ho 4 figli e il primo l’ho concepito in quei giorni». Secondo le stime, ricorda Rai News24, sono almeno 10mila i bambini nati da quelle violenze in pieno genocidio. Come ha poi ricordato anni fa il parroco di Musha (presso l’arcidiocesi di Kigali), il croato Danko Litric, alcune donne ruandesi vennero viste con vestiti in festa durante l’assedio degli hutu presso i luoghi dove si nascondevano i perseguitati prima dell’eccidio finale: loro risposero al sacerdote qualcosa che fa ben intuire come i testimoni cristiani in Ruanda non sia così “esagerato” definirli martiri, «oggi non è domenica ma è festa lo stesso: oggi andiamo a incontrare il nostro Signore».