Siamo alla fine della saga del maghetto di Hogwarts. Esce a breve in tutto il mondo la puntata numero 7, e non è l’ultima, perché saggiamente registi e sceneggiatori hanno sdoppiato il volume finale della Rowling: tocca spremere le ultime gocce di ispirazione; dove la trovi un’altra gallina dalle uova d’oro ch ti permette di vendere 4 miliardi e mezzo di biglietti in sala?

Dunque, Harry Potter e i doni della morte, parte prima, la seconda a luglio. Non ho visto, naturalmente, il film (sapete che i temerari che hanno osato violare le barricate davanti agli studios si sono visti spianare in faccia i mitra?), ma ho letto i libri, e molto si sa dalle chiacchiere e dai trailers che spopolano su Youtube. Sarà ancora più cupo, più fosco e perturbante: un susseguirsi drammatico di dissennatori e anima del male disseminata in horcrux da distruggere un attimo prima che distruggano te. Soffiando via comunque una parte di te.

Il neoplatonismo si intrufola dopo secoli ancora in una certa visione del mondo, gli spiriti, buoni e malvagi, si spandono nella natura e nei corpi, ne succhiano energia e volontà. Si è discusso a lungo, con qualche intervento più che autorevole, degli effetti del ciclo potteriano sulla confusione spirituale dei nostri figli. L’allora Cardinal Ratzinger stupì e scandalizzò, senza condanne inquisitorie, ma richiamando al pericolo di un sincretismo pseudo religioso che mescola miti e leggende, spruzzi di cristianesimo e neopaganesimo.

È il calderone della new age, ormai i ragazzi ci entrano e sguazzano grazie a mamme, zie e professori, le difese stanno altrove. Prima di tutto, in un’offerta alternativa: Tolkien non è la Rowling, esageriamo l’eccitazione alla notizia che si sta per dare il ciak, sempre in Nuova Zelanda, alle riprese de Lo Hobbit, “prequel” (parola orrenda, per il filologo di Oxford) de Il Signore degli Anelli.

Vale la pena di leggerlo, e notare le differenze. Inoltre, ricordiamo che quella di Harry Potter è una storia di fantasia, nata impastando però ingredienti antichi e dosati per piacere ai palati dei ragazzi di oggi. Pensa un po’, c’è Hoffmann e Poe, Shakespeare e Lewis, l’Olimpo e il Walhalla, Artù e Spiderman. Una montagna di frottole, però ben assemblate, ben raccontate, meglio dei noir da patologia psichiatrica che circolano al cinema. A un ragazzo sveglio, queste poche note bastano e avanzano per godersi le pagine e le scene, e poco dopo esorcizzarle con un Big Mac. Se il ragazzo è influenzabile, ci sono modelli ben peggiori in giro, sugli schermi e in libreria.

I bambini più piccoli, invece? Ma quelli non devono vedere Harry Potter! Chi ha mai detto che si tratti di libri e film per bambini? Si può far vedere Matrix a un ragazzetto di 6 anni, ma solo se si addormenta sulla nostra spalla, e siamo certi che non presterà attenzione alla storia. Capirlo è impossibile e deleterio.

Qualche appunto invece sul lancio del film, sull’ipocrisia bacchettona che si preoccupa per quei giovani che dopo dieci anni di riprese si ritrovano orfani della loro infanzia, deprivati di un mondo, di un sogno ecc. Sono giorni che giornali e agenzie sollecitano la lacrima per questi innocenti attori, che impersonano Harry, Hermione e Ron, alle ultime scene sul set. Sappiamo che i tre Paperon de Paperoni (100 milioni di euro a testa, più o meno) protagonisti della serie possono finalmente mangiarsi una pizza con gli amici: Daniel Radcliff il tempo per recitare nudo sul palco di un teatro l’aveva trovato, ma si sa, all’arte non si può dir di no; Emma Watson può tagliarsi i capelli, finora lunghi per contratto, e frequentare a bel’agio l’Università, secchiona nel film come nella realtà; Rupert Grint spera di coronare il suo sogno di bambino, cioè fare il gelataio…magari col carrettino e il cappello bianco in testa.

 

Si sperticano a ricordarci che si sentono “ragazzi perfettamente normali”, che non si sono montati la testa, grazie alla “famiglia” conosciuta sul set, dove sono stati custoditi ed educati. E noi a crederci? Certo che no. Ci mancherebbe. Che dovrebbero dire, tanto per vincere in moralismo, i milioni di ragazzini sballottai da carestie e guerre? E nemmeno possiamo piangere sui perduti anni della fanciullezza immolati al dovere, al volere dei grandi.

 

Accendiamo la tv nostrana, e vi razzolano agghindati come pupazzi bambini appena capaci di parlare, che però cantano e ballano, e scimmiottano i conduttori con movenze imbarazzanti, anche per personaggi più grandi; la pubblicità ci frastorna di bimbi marchiati, siano merendine o succhi di frutta o pannolini, culetti in mostra, e ben pagati. Il castello di Hogwarts è un sogno, al confronto, una Disneyland più fascinosa e strabiliante, avremmo sognato tutti di viverla. Fino a 12, 13 anni. Poi è business, non più solo per i genitori, ma anche per i figli. E il business, ben pagato, un po’ si paga. È il minimo.