All’annuale edizione di Pitti Immagine Uomo, aperta ieri a Firenze, tale Alessandro Cantarelli (“chi era costui?”), presidente di un’azienda omonima di moda, ha trasformato il suo stand in una cappella, con panche, altare, chierichetti e un quadro raffigurante Cristo in croce. Sì, ma vestito alla moda, e un po’ sciamannato, senza corona di spine e segni di percosse e colpi di lancia, naturalmente: camicia sbottonata, fazzoletto nel taschino.

Un bodyguard da discoteca, uno abituato allo struscio a Portofino, e chissà se ha le Tod’s ai piedi. “Devoti allo stile”, lo slogan prescelto, “uno stile ben rappresentato da un personaggio trascendentale”, spiega serafico l’esteta. Si dirà, e allora? Tante proteste, ufficiali e non, perché l’Unione Europea chiede di togliere il crocifisso dalle scuole, e ci si indigna perché un artista della moda lo usa come manichino per la sua collezione?

Il Cristo come uno di noi, la sua sofferenza semmai come emblema dei drammi dell’uomo di oggi, da ostentare, anziché occultare nei luoghi di culto. Par di sentirli, i soloni della critica e della sociologia, interpretare in chiave postmoderna lo scandalo della croce. Ipocriti. La verità è un’altra: la croce è irrisa, umiliata e offesa.

Niente di nuovo, si cominciò con quel bel sedere che pubblicizzava un paio di jeans, “chi mi ama mi segua”. Abbiamo visto cantanti legarsi a una croce sul palcoscenico, scultori d’arte povera crocifiggere ranocchi, siamo abituati alle bestemmie nei salotti della politica e dei talk show. Eppure, in quella Firenze che da 800 anni espone in Santa Maria Novella il crocifisso di Giotto; in questi giorni, in cui gli intelligenti ascoltano pensosi le parole del Papa, che sferza ancora una volta l’insipienza culturale, l’autodistruzione di un’Europa immemore dei segni che l’hanno formata, la boutade di sto Cantarelli è qualcosa di più che una provocazione. È un’offesa.

Abbiamo visto tanti Crocifissi, e tante Madonne vestite, soprattutto nel nostro Meridione, per celebrare le feste, per le processioni solenni. Con snobismo abbiamo forse sorriso, toccati dal’effetto kitsch. Ma si tratta di trine, velluti ricamati dalle nostre nonne, snocciolando rosari; sono vesti tramandate per generazioni, conservate con cura, addobbi preziosi per onorare, attraverso le statue, i volti cari del Figlio, della Madre, dei Santi.

 

Che faranno gli intellettuali progressisti fiorentini, i notabili riformisti che guidano la città, invocheranno la libertà dell’artista? E i tanto decantati diritti che l’Occidente ha insegnato al mondo, in primis il rispetto e la libertà per la religione? Provino in una prossima collezione a evocare l’Islam, rischino un’accusa di blasfemia, ci vuol più coraggio.

 

Davvero, cara Fallaci, ci manchi. Tu che credente non eri, ti sentivi figlia di 2000 anni di storia, di arte, di scienza, orgogliosa e rabbiosa a un tempo, per troppi cristiani tiepidi, per un Occidente che, perdute le sue radici, si consegna al nulla.