A Catanzaro la preside di una scuola media statale vieta a un alunno affetto da sindrome di Down di partecipare alle gite scolastiche. Tanto non capirebbe nulla, ha dichiarato di fronte ai docenti. I genitori ricorrono all’autorità per far rispettare il diritto allo studio. Ma la lezione più importante è che i compagni di classe si rifiutano di andare in gita, senza il loro compagno.

Non conosco le motivazioni inconsce, le turbe mentali, le paure di quel dirigente scolastico (non c’era un’insegnante di sostegno, pare, e si sa, senza i ruoli prefissati non sappiamo più “sostenere” un ragazzino in gita). Annoto, però, che quando le scuole erano un po’ meno aziende e un po’ più luoghi di educazione, e i “dirigenti” erano soprattutto insegnanti, sarebbe stata la preside a voler andare in gita per prima, magari ingegnandosi perché la giornata fosse ancor più bella e memorabile, per tutti. Aiutando i suoi allievi uno a uno: chi perché troppo distratto o chiacchierone, chi perché stanco, chi con un po’ di febbre, chi perché triste e un po’ solo, chi con qualche difficoltà “congenita”.

A me dà fastidio il buonismo imperante che confonde la realtà e pretende il politically correct anche nella lingua: non “disabili”, ma “diversamente abili”. Chiedete a un ragazzino in sedia a rotelle se non preferirebbe “l’abilità” a correre e saltare coi propri amici. Il punto è un altro e i burocrati dell’egualitarismo l’hanno dimenticato: una persona è una persona, come una rosa è una rosa.

Non ci sono quindi alunni maschi, alunne femmine, immigrati, disabili, per categorie sociali da preservare, da additare all’attenzione ossessiva, quindi da ghettizzare. Ci sono dei ragazzi. Punto. Unici e irripetibili, come ciascuno di noi. E la loro vita vale tantissimo, è preziosa agli occhi di Dio, per chi ci crede, e ai nostri occhi, perché la condividiamo. E una vita non vale se è degna di essere vissuta: vale di per sé. Chi poi s’infiamma oggi per il caso del ragazzino calabrese – chiamiamolo Alessandro – è prontissimo a spegnere la vita delle Eluane, che non sono utili a nessuno, soffrono troppo, sembrano non capire.

Come il giovane alunno di Catanzaro, diverso, speciale, che invece sarebbe stato utilissimo in gita: i compagni più attenti, perché attenti anche a lui; più capaci di sorridere, per i suoi sorrisi. Avrebbe sofferto un po’, se l’avessero escluso dal gioco, dalle canzoni sull’autobus. Ma non l’avrebbero fatto dei compagni così decisi e coraggiosi, che immaginiamo non abbiano seguito corsi di psicologia e pedagogia, che la burocrazia istituzionale offre come panacee di tutti i mali, ma che sanno far parlare il cuore e commuoversi, cioè muoversi per qualcosa che vale la pena.

 

Alessandro avrebbe capito? Chiedetelo a lui. So che può guardare il mare e le opere d’arte con i nostri stessi occhi. Che può riconoscere il buono e il bello della compagnia di quella classe. E che tornando a casa, dopo quella gita, avrebbe raccontato a suo modo, con le guance arrossate, la sua giornata diversa. Speciale.