Caro direttore,
Giovanni Petrali, quel giorno del 2003, ha avuto paura. Faceva il tabaccaio, non il body guard, non era attrezzato, né per età, né per fisico, a diventare rambo. Ti entrano due nel negozio, con la pistola, terrore, il guadagno di una giornata rubato, un’improvvisa fuga. Lui la pistola l’aveva, e l’ha usata. Come la usa chi non è capace, chi non l’ha mai usata: uccidendo, senza volerlo, uno dei malviventi, ferendone gravemente un altro a un polmone.
Omicidio colposo, sentenziò il giudice in primo grado. Un anno e otto mesi, non se li sarebbe mai fatti in galera. Ma il suo caso andava bene da cavalcare per l’emergenza giustizia, per l’emergenza immigrati, tanto tutto fa brodo. Per tirar fuori che sì, in America il porto d’armi lo danno a tutti, e la legittima difesa va riconosciuta. A parte che in America è pieno di matti che con le armi in pugno sequestrano i bambini nelle scuole, fanno stragi folli e finiscono a loro volta stecchiti, e anche da noi cominciamo a imitarli benissimo, tocca ragionare in termini di giustizia, tema abbastanza trattato di questi tempi, ma non in tutta la sua portata.
In Italia non esiste la pena di morte. Dunque i criminali si arrestano, non si colpiscono alle spalle. Però la pistola te l’hanno data, e per cosa? Per dissuadere, per intimorire, perché ci si guardi alla pari. Facile a dirsi, quando hai le gambe che tremano e rischi di perdere tutto in un attimo. Non ci sono che due soluzioni: non dare più il porto d’armi ai privati cittadini, e mi pare la risposta migliore, e pazienza per Beretta & co., che possono fare profitti in altro modo.
E far sì che sia lo Stato a garantire la sicurezza dei suoi cittadini. Come? Non è mestiere nostro, ma forse Maroni e Tremonti, a quattr’occhi, potrebbero escogitare un sistema. Per esempio aumentando i fondi alle forze dell’ordine, che abbiano almeno la benzina per fare la ronda come si deve. Banalità, fosse così semplice, si può obiettare. Nessuno ha detto che sia facile e indolore e gratis assicurare alla gente di vivere in pace, facendo il proprio mestiere, passeggiando nei parchi, tornando a casa a sera dalla palestra. Lo Stato c’è per questo, o le tasse che le paghiamo a fare? Oltretutto posso presumere che lo Stato, nella forma di forze dell’ordine, sia più attrezzato di me a fronteggiare i delinquenti, e dunque possa farlo senza colpo ferire.
Quindi fa bene il signor Giovanni, a portarsi a casa l’assoluzione in appello, per legittima difesa putativa: dopo 8 anni, tra l’altro (ecco i tempi della giustizia ingiusta, e ditemi se una riforma non è necessaria). Fa bene ad essere contento suo figlio Antonio, magari senza esultare, moderando un po’ i toni, invece del “siamo felici, non poteva andare meglio di così” con cui ha accolto la decisione della Corte. Ed evitando, come si dice, di candidarsi nelle liste del Carroccio, perché i drammi privati non diventino occasione di battaglie forcaiole; perché la legittima difesa va riconosciuta come eccezione, non come norma. Se diventa la regola, è il Far West, senza neppure la vena epica alla John Wayne.
Certo, in questi giorni, assistendo attoniti ai missili franco-britannici (speriamo non nostri) in terra di Libia, una riflessione in più è d’obbligo. Se dare la morte è lecito, e addirittura necessario e giusto, per colpire gli stati canaglia, possiamo traslare il principio fino alle porte di casa nostra? Se un paese democratico, anzi, una comunità di stati democratici, può spiegare una forza di guerra per punire e risolvere un’ingiustizia, perché non posso farlo io, cittadino inerme, che non so neppure guidare i Caccia e i Tornado?