No, gli anni di piombo non tornano, sono lontani. Lo sa bene Letizia Moratti, cui l’accusa di filoestremismo e guai giudiziari dovuti al movimentismo anni 70 all’avversario Luciano Pisapia fa traballare la poltrona. A Roma, però, il clima è così surriscaldato da suscitare più di un timore del ritorno alla violenza come rinnovata modalità di scontro politico. Una decina di casi, nell’ultimo mese. Protagonisti, gli attivisti di estrema sinistra, tacitamente tollerati da quella sinistra senza sbocchi parlamentari, quelli dei Collettivi e dei Centri Sociali; e quelli di estrema destra, che ruotano intorno al Circolo “culturale” Casa Pound, a loro volta con buone sponde nel giro ex Msi disperso variamente tra Pdl E Fli.
Un mese fa Andrea Angelini, presidente di Casa Pound, era stato colpito da una pistolettata, e il termine “gambizzato” è stato tolto dagli archivi polverosi della cronaca; l’altro giorno un esponente del centro sociale Horus Project di Montesacro è stato aggredito da sei persone, dice lui, e pestato. In mezzo ci sono botte, aggressioni mirate, bombe carta, perfino l’occupazione di una scuola elementare. Apparentemente per dare una casa a chi non ce l’ha, in realtà in sfregio al centro sociale di zona, memore di un ragazzo ucciso proprio vent’anni fa in quel quartiere da un commando di picchiatori neri.
Il sindaco che fa? Di guerra fra bande ne sa qualcosa, e l’ha ripudiata più volte, rinnegando l’enfasi e gli odi viscerali di quand’era ragazzino, e cerca da tempo, tramite il suo Assessore alla Sicurezza, un confronto, un dialogo, una pacificazione. Ricordando che esagerare la portata di certe zuffe significa esasperare, accreditare alla lotta politica gruppuscoli di sbandati quando non di veri e propri delinquenti, che nulla invidiano ai teppisti da stadio. La Capitale ne è ben fornita.
Però, fugare anche solo l’ombra di tolleranza da parte delle diverse forze politiche, significa connivenza. Non importa se si tratta dei nipotini di chi oggi siede in Parlamento o nei Consigli amministrativi, se certe tensioni possono servire, quando contrapporsi serve a contare i voti. I muri dei licei sono zeppi di manifesti rozzi, violenti, volgari. Li appiccicano quelli che dominano le assemblee e i cortei, nella colpevole indifferenza di troppi ragazzi imborghesiti e disinteressati alla realtà.
Gli stessi toni sono abituali nelle innumerevoli manifestazioni indicate (anche da molta stampa) come libera espressione di resistenza civile a qualsiasi forma di governo e a qualsiasi regola. Nelle università chi prova a vendere un giornale, a proporre un incontro, deve vedersela con chi urla e okkupa, e poco importa se sono quattro gatti, in grado di far saltare lezioni e dignità dei professori (quanto coraggio manca).
C’è un altro però. In questi giorni nell’atrio di Lettere all’Università La Sapienza dove la tensione è sempre al massimo, un gruppo di studenti espone, e spiega i tabelloni di una mostra su Gaudì. Legando la figura del geniale architetto e artista catalano al tema dell’Europa, di un’unità che nasce dalla coscienza di un’identità e radici. Sono anche le guglie della Sagrada Familia a tenercelo a mente.
Lo scorso fine settimana i ragazzi di Giovane Italie e i Giovani Democratici (il nome li individua benissimo) si sono dati appuntamento nel quartiere Garbatella (quello idilliaco de I Cesaroni) per coinvolgere i coetanei in una bicchierata comune nella notte primaverile romana, come “no” deciso all’odio come metodo e fine. C’è da guardarsi intorno, ma di tutori del buon senso e di bella umanità ce ne sono ancora.