Dopo aver illustrato la stima del dato tendenziale annuo inflazionistico degli Usa riferentesi ad agosto 2023, tasso che verrà pubblicato il 13 settembre come valore effettivo dal dipartimento di statistica, passiamo ad analizzare più da vicino le tante implicazioni effettive e ipotetiche del consesso Brics tenutosi in Sudafrica tra il 22 e il 24 agosto.



Nell’intervento precedente si è sottolineata la valenza politica, sebbene embrionale, del nuovo accordo Brics+ che avrà luce il primo gennaio 2024, mentre, delle prime concrete ricadute finanziarie, se ne abbozzerà ora una immagine il più possibile efficace. Si sa che la tanto attesa (e a questo punto meglio sarebbe dire pubblicizzata) valuta comune R5 non è stata istituita, nemmeno come valuta di conto, avendosi al suo posto la creazione di una piattaforma comune di pagamenti intra-area degli scambi commerciali e della regolazione del conto corrente, in alternativa sostanzialmente allo Swift occidentale. L’istituzione di una valuta di conto comune abbisognava necessariamente come paletto di sostegno della convergenza entro un certo numero di anni dei tassi di interesse e di inflazione di tutti i partecipanti.



Chi si ricorda dell’Ecu conosce benissimo questi aspetti. L’Ecu in effetti è stata la moneta come unità di conto più performante della storia, performante a tal punto che sui suoi risultati si è potuta costruire la successiva architettura della moneta unica europea e cioè l’euro. Quindi da tale punto di vista, l’assemblea Brics resta a uno stadio non operativo ancora per creare una valuta effettivamente alternativa al dollaro, di cui ricordiamo ancora i super-numeri del momento: valuta di scambio internazionale con un peso del 71% circa, valuta di riserva pari al 58% delle riserve mondiali di tutte le banche centrali. Il dato negativo di questi super-numeri è il trend in sensibile abbattimento dei valori dal 2000 in avanti. Sempre numeri alla mano, quindi, alle situazioni attuali, se il 24 agosto fosse stata annunziata la partenza operative della R5, ovviamente in modalità sperimentale e per settori merceologici e per aspetti dei movimenti di capitale, tale valuta in capo a un periodo di 3 o 4 anni, ipotizzando un funzionamento stile Ecu come resa, avrebbe assorbito un 30-32% degli scambi mondiali, portando il dollaro intorno al 38-40%; questa ricomposizione mutatis mutandis avrebbe preso forma anche sulla composizione delle riserve internazionali.



Perciò, da un punto di vista finanziario di breve-medio periodo, il dollaro resta ancora valuta benchmark sebbene in crisi, o con espressione più adeguata, molto criticata e piena di storture in quanto valuta di riferimento. Un effetto però molto più piccolo di una nuova valuta di conto importante tipo la attesa R5 il consesso Brics l’ha raggiunto con l’implementazione della piattaforma telematica di regolazione degli scambi all’interno dell’area nelle proprie valute nazionali. Tale sistema in sostanza richiede una domanda più bassa di dollari sui mercati internazionali dei capitali e del conto corrente, in quanto il singolo Paese aderente ai Brics+ non ha più bisogno, per acquisire materie, di dollari sui mercati internazionali dei capitali, potendo usare la propria valuta nello scambio con un’alta valuta Brics+. Sebbene questo sistema lasci inalterato il meccanismo di formazione dei prezzi dei beni in dollari sui mercati internazionali, richiede una domanda molto più bassa di dollari per funzionare, e quindi per tale via indiretta tende comunque, svalutando il dollaro, oggetto di una minore domanda finanziaria, a ridefinire i prezzi, sebbene di poco, rispetto ai mercati di formazione primaria.

Se poi si aggiunge che per i partecipanti Brics+ si abbattono le commissioni e gli interessi collegati a un’autonoma domanda di dollari, ciò contribuisce ulteriormente non solo a una nuova definizione dei prezzi, sebbene marginale, ma a spostare verso il basso la quota di scambi internazionali in dollari. In modo esemplificato, se da gennaio 2024 il comportamento dell’Arabia Saudita sarà quello di sacrificare dollari con yuan e rupie soprattutto, ma anche rubli, il peso del dollaro sul commercio internazionale già a fine 2024 potrebbe scendere al 62-63%: va ribadito però che questi, soprattutto dell’Arabia Saudita, sono comportamenti ipotizzati e lineari, che a mio parere non si implementeranno con facilità e ordine. In sostanza credo che a fine 2024 se le attese odierne degli scopi dei Brics+ venissero confermate in modo robusto, il peso del dollaro scenderebbe al 65-66% degli scambi mondiali.

Qui arriva pertanto tutta l’importanza di questo nuovo consesso che si configura allo stato embrionale come antagonista politico e finanziario del G7. Qui, secondo me, nascono un sacco di problemi non facilmente risolvibili, anche alla luce della personale idea di fondo, e cioè che il mondo, per trovare un nuovo ordine post globalizzazione, abbia bisogno di un accordo strategico di nuovo conio tra Usa e Russia. In sostanza, solo sulla base robustissima di questa nuova intesa si potranno ipotizzare percorsi del G7 e dei Brics+ di natura più o meno cooperativa e competitiva, e soprattutto senza guerre importanti in giro per il pianeta.

Di fronte a questi scenari che coinvolgono in modo mai come ora esigente le élites al potere degli Stati più importanti e soprattutto di Usa e Russia, ho sempre vivido alla mente l’aforisma di Napoleone Bonaparte, il quale diceva: “A me non piacciono i generali bravi, a me piacciono i generali fortunati”. In altri termini, le assemblee degli uomini e delle donne scelgono i leaders che credono più meritori, ma alla fine sono i fatti a decretare chi sono i leaders e chi solo fuochi di paglia. Oggi tutto il mondo ha bisogno di politici nuovi e di spessore vero che sappiano affrontare le declinazioni di un mondo che cambia, che ha sue precise identità antropologiche non solubili in slogan pubblicitari di turno. I diritti individuali di noi occidentali devono saper parlare al valore comunitario e identitario di civiltà vastissime e millenarie e oramai protese al futuro.

(2 – fine)

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