Essendo sul viale del tramonto la globalizzazione e osservandone già da oggi tante crepe e malfunzionamenti, tutto questo richiede una riflessione profonda sui nuovi schemi con cui va concepita e resa operativa una nuova economia delle relazioni internazionali. In più chiare lettere, la domanda cardine è se il dollaro perderà il suo status di valuta e asset benchmark per i commerci internazionali e per le riserve di banche centrali e istituzioni finanziarie.
Certamente, con quello che si sta osservando dal 2008 in avanti, tale processo è oramai avanzato e a un buon punto, visto che solo per le riserve siamo passati dal dato del 72% di tutto il mondo a inizi anni 2000 al 58% di questi giorni, con un trend univoco nella discesa.
E queste sono sole le fotografie degli effetti già dispiegatisi mentre i fattori causativi sono in continuo lavorio, e qui ci riferiamo allo scompaginamento iniziale della pandemia Covid-19 e poi dal 24 febbraio 2022 all’inizio della guerra in Ucraina, con a seguire tutti i focolai di crisi sparsi per il mondo che stanno diventando sempre più intensi e dinamici.
Ma uno spunto attualissimo ci dà subito il là della questione; il 2 agosto l’agenzia di rating Fitch ha tolto la tripla A al debito pubblico Usa, portandolo allo AA, e questo per un insieme di osservazioni – per me del tutto condivisibili – sul detoriamento continuo della finanza pubblica a stelle e strisce. Ma qui, in questo intervento, quello che mi preme sottolineare è la reazione che hanno avuto i mercati, e cioè che con tale downgrade il mercato dei Treasury è stato giustamente messo sotto pressione con il titolo più indicativo della curva, quello a 10 anni, che è passato a un rendimento di circa il 4,2% sul mercato secondario; reazione canonica, in quanto dato un incremento del rischio dell’attività detenuta, essendo debito pubblico appena rivisto in valutazioni al peggio, io operatore lo vendo sul mercato; quello però che è accaduto immediatamente in sicrono e in maniera aberrata è stato l’apprezzamento del dollaro nei confronti di tutti gli asset possibili, e cioè valute estere, oro, petrolio e commodities. Cioè da una parte aumenta il rischio legato all’Ente che chiamiamo Stati Uniti d’America, dall’altro, liberarsi di tale rischio significa investire nella valuta dollaro che è la divisa di quegli stessi Stati Uniti d’America che sono divenuti più rischiosi.
La si nota la profonda e pericolosa aberrazione finanziaria sui mercati? Pericolosissima perché denota spiazzamento e incapacità a vedere un nuovo mondo, confidando solo sul mantra che il dollaro è l’asset più sicuro del mondo, come se esso fosse una materia prima, kriptonite di Superman proveniente da un altro mondo. La realtà e quindi il dramma è che siamo di fronte a inquietanti campanelli d’allarme di isteresi nei mercati, cioè la punta del disco si incanta e suona sempre la stessa musica; solo che questa musica in questi momenti è falsa.
Infatti, ab contrario, se tutto ciò fosse successo a una nazione anche come la Germania, ipotizzando ancora l’esistenza del marco, si sarebbero sia innalzati i tassi di interesse sul mercato interno e contemporaneamente ci sarebbe stato un deprezzamento della valuta. Tutto questo non è avvenuto per il dollaro Usa, in quanto tale divisa è sia un’attività finanziaria come tutte le altre sui mercati internazionali dei capitali e delle merci, ma al tempo stesso è anche l’asset di riserva del mondo intero nonché la valuta oligopolista dello scambio mondiale. Un doppio gioco insomma, un gioco delle tre carte, che diviene sempre più speculativo e insidioso a mano a mano che gli Usa perdono il controllo economico e geostrategico del mondo.
Questa è una immagine drammatica, perché solo ora a Washington cominciano a realizzare il termine di un’epoca, al rebus sic stantibus attuale; per tale motivo, per i falchi più intransigenti dell’impero americano che non va perduto, è necessario uno scompaginamento dall’interno della Russia, non potendola aggredire manu militari.
Del tutto ovvio, invece, che per gli apparati più raziocinanti degli Usa, con in testa la Fed, si deve iniziare ad avere un cambio di paradigma, ed ecco perché all’istituto centrale si stanno ora arroccando a non escludere qualsiasi rialzo dei tassi ulteriore e di qualsiasi intensità necessario a fronteggiare i problemi; insomma, lo stare alla finestra da parte della Fed a osservare ciò che accade può anche essere letto – e io lo leggo così – un modo molto diplomatico di non essere d’accordo per nulla con la lettura degli eventi che la Casa Bianca sta cercando di far credere a mezzo mondo. Insomma, l’innalzamento dei tassi significa tra le altre cose comunicare in sordina e in modo elegante che il futuro è divenuto più incerto e sconosciuto, e questo certamente non può essere additato a responsabilità di un mago Zurlì di turno (in America veramente lo conosciamo come il mago di Oz).
L’innalzamento dei tassi di interesse americani ci comunica tramite la Fed che le traiettorie internazionali finanziarie ed economiche sono entrate in subbuglio, in ambascia, già ora sospese per tanti mercati, e non sapendo al momento l’approdo finale futuro tra tre o quattro anni al minimo.
Qui si inizia a mischiare tutto a livello internazionale, dalla politica interna cioè dei 10 Stati più vasti del pianeta alle relazioni internazionali politiche e economiche tra questi gruppi di Stati o singoli Stati oramai anche in contesa tra loro e non più solo in competizione e cooperazione. Quindi, un nuovo schema che tenga conto di tutto questo e che cercheremo di analizzare in un intervento dedicato, mentre ora, al momento, ci si ferma a tratteggiarne lo schema di fondo e l’ambiente dove origina; cioè in un mondo rischioso servono tassi di interesse più alti e reali anche, e quindi l’inflazione collegata non può erodere il potere di acquisto del creditore; utilizzando un’immagine, credo efficace, è come se nel modo globalizzato almeno per noi occidentali si sia stati in presenza dei creditori più sicuri del mondo a fronte dei debitori più sereni del mondo; l’immagine familiare del padre con il figlio.
Bene l’innalzamento dei tassi di interesse serve a traghettarci in questo nuovo mondo che è probabilmente alle porte, e per tale motivo ci soffermeremo su un nuovo schema di riferimento macroeconomico.
(3- continua)
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