Siamo dunque giunti al punto di dover provare a immaginare quale sarà il regime valutario che si imporrà nel periodo post-globalizzazione, viste in precedenza le storture causate da una singola valuta di riferimento, e cioè il dollaro statunitense, e i troppi vincoli e oneri che sorgono da un gold standard più o meno integrale. Seguendo le esperienze storiche del passato, lo scenario per il quale ci si sbilancia sarà quello di aree valutarie all’interno delle quali si instaurerà qualche forma di regolamentazione e un regime di sostanziale flessibilità nei rapporti esterni tra di esse.
In sostanza, il progetto Brics, se mai dovesse divenire operativo per il fronte valuta, non potrà mai andare oltre l’unità di conto che tiene memoria di alcuni accordi di fondo tra i Paesi partecipanti; un esempio che può aiutarci a capire è quello dell’Ecu europeo; poi, però, il passare del tempo e la variazione delle condizioni iniziali degli accordi valutari tra i Brics faranno sì che si dovrà riprogettare ex novo un vero e proprio registro valutario completamente differente.
Resta sul tavolo l’ipotesi tanto decantata in ambito teorico da grandi macroeconomisti, e cioè quella di un’unica valuta internazionale non appartenente alla sovranità solitaria di alcuna nazione e con al minimo delle sue prerogative l’universale considerazione di valuta di conto. Ma già l’Ecu per un’area ristretta e i diritti di prelievo del Fmi che si proponevano come una sorta di valuta di conto embrionale hanno fallito nel loro intento, in quanto l’azione sovrana e indipendente dei singoli Stati è sempre un fattore di entropia a un ordine internazionale.
Certamente, però, una soluzione con un certo grado di efficacia e soprattutto di concreto funzionamento operativo si dovrà imporre; pertanto, nello sbilanciarmi in merito a ipotesi future di nuovi regimi dei cambi e valutari, io non credo si imporrà la soluzione cooperativa e condivisa, ma invece, credo che ci troveremo dopo brevi periodi di messa a fuoco, ad avere la presenza di un blocco che fa capo al G7 e alle economie più direttamente interrelate che avranno il dollaro statunitense come valuta benchmark degli scambi e delle riserve; quest’area avrà un peso di circa il 40% sugli scambi mondiali. Poi, quello che noi chiamiamo progetto Brics che si costituirà come un’elementare e fondamentale area di unità di conto e di meccanismi di compensazione che peserà sul commercio mondiale per il 30% e che avrà nel renminbi cinese la valuta più rappresentativa. Infine, senza nessun accordo regolamentare ma solo per inerzia dei fatti stessi che porteranno a quei meccanismi compensativi e di assicurazione contro il rischio, una quota residua pari al 30% rappresentata da riserve d’oro in maniera preponderante e da riserve di argento.
Questa tipologia di nuova architettura degli scambi internazionali porterà a un incremento di circa il 40% dei costi e a una riduzione comunque sensibile dell’attuale assetto della finanza internazionale, in quanto giocoforza i meccanismi di regolazione tra le diverse aree non saranno compensativi in modo automatico, ma avranno bisogno volta per volta di arbitrati regolamentari. Piuttosto, quello che ipotizzo costituirsi e funzionare a breve sarà la borsa dell’oro di Mosca alternativa allo Lbma di Londra che finora detiene il monopolio mondiale della fissazione del prezzo dell’oro; la sua costituzione porterà in brevissimo tempo a una sensibile variazione del prezzo dell’oro in dollari statunitensi, attestandosi dagli attuali 1943 dollari l’oncia del 5 agosto 2023 ai circa 2.250 dollari l’oncia, prezzo che sarà valido e unico in tutto il mondo sebbene frutto delle contrattazioni di due borse indipendenti e contrapposte l’una all’altra. Questa sensibile e subitanea svalutazione del dollaro americano altro non vorrà dire poi che sensibile inflazione nel gruppo G7, perlomeno per due/tre anni in un’area del 9-11%.
Gli elevati debiti pubblici occidentali diventeranno così meno gravosi per gli Stati interessati, ma tutto questo nel rispetto di condizioni socioeconomiche che non si modifichino; in verità, è proprio il problema di crisi sociali e torbidi che si nasconde dietro l’alleggerimento forzato dei debiti pubblici. Basti pensare a tutti gli aspetti dello stato del benessere sociale; l’unica alternativa è che i Governi in carica sulle due sponde dell’Atlantico abbiano una coerenza e una forza politica non da poco a implementare serie politiche redistributive; per mio personale giudizio, queste azioni le vedo molto più fattibili in Europa, mentre invece vedo molto esposti gli Usa, i quali, rispetto agli anni ’70, non potranno contare sulle leve di azione di politiche monetarie e fiscali comunque espansive alla bisogna.
Cioè gli Usa per la prima volta da un periodo che possiamo situare intorno agli anni 1880 dovranno fare e perseguire politiche di forte riduzione della finanza pubblica; solamente che le politiche redistributive si scontrano con lo spirito essenziale di questa nazione, che cioè il merito individuale va premiato a ogni costo, anche a costo dei morti di fame che non ce la fanno nella lotta competitiva. Secondo me, le lezioni di un grande filosofo della giustizia e del bene pubblico, lo statunitense Rawls, vanno recuperate; non impedire ai meritori di sognare e produrre i fuochi di artificio, ma fermarsi ogni tanto e al momento opportuno per rattoppare il tessuto sociale, facendo sì che non ci sia nessun individuo che si situi sotto il livello di standard di vita da ritenersi assoluti.
Nel criterio di Rawls, insomma, il primo vincolo indefettibile e da assicurare a ogni costo, è che ogni individuo del tessuto sociale abbia un minimo vitale che corrisponda ai criteri di dignità e decenza dei tempi che si vivono. Solo dopo aver soddisfatto tale vincolo, la nazione può implementare tutte le politiche economiche, monetarie e valutarie che garantiscono il successo dell’intrapresa individuale.
Questa è la sfida post-globalizzazione che attende gli Usa con la fine del dollaro coma valuta benchmark degli scambi e delle riserve mondiali; più questa sfida verrà vissuta dagli americani come scontro di civiltà e come fine di un’epoca, più imporrà poi in tempi brevi scomode e sofferte ricette economiche per la tenuta del sistema.
(5- fine)
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